Cosa deve fare il mio caro vecchio ciclismo di fronte alle magnifiche sorti e progressive che il calcio si è inventato con la Superlega, onorata da tanto di liberatoria sentenza europea? Il mondo dei tifosi televedrà gratis partite fra grandissimi club, gratis però comprando a caro prezzo, da ipnotizzato, i prodotti pubblicizzati dalle trasmissioni (si parla di una certa Ferragni come dirigente del settore)?
Non pensiamo che nel mondo nostro ci sia panico, anzi. Il ciclismo sa di possedere, di vivere una sua aristocrazia collaudata dal tempo, sa persino impreziosire la sua classicità. Altri sport sicuramente sono in crisi di paura, pensiamo a tutti quelli in cui una palla rotola o rimbalza. Lo stesso tennis, così ancorato al singolo personaggio, e intanto spogliato del fascino di una Coppa Davis ”superleghizzata” da un paio di anni ad opera di nuovi padroni e ridotta torneuccio disertatello, e vincibile persino dall’Italia con un solo campione vero. Non voglio indagare se per insensibilità, peraltro non sgradita, al grande divenire in atto o per accertamento logico di una propria forza tradizionale e intanto eterna, ma secondo me il ciclismo non trema.
(Parentesi: qualcuno potrebbe pensare che in fondo il ciclismo ha da tempo la sua Superlega, e si chiama Tour de France, dove conta sin troppo la magnanimità dei lombi, quella che la Superlega calcistica ha pensato di crearsi con i soldi arabi: ma ci sono esempi di equilibrio competitivo ad alto livello fra le tre grandi corse a tappe, con esempi attuali di corridori che le vogliono vincere tutte, meglio se nello stesso anno, così mettendole in uno spazio comune di interesse e prospettive).
Comunque pare proprio che il ciclismo, intanto che quelli della Superlega calcistica si battono contro quelli di Fifa, Uefa e Eca (l’associazione di club europei), qualcosa dovrebbe fare, se non altro per sentirsi vivo e in sintonia con la voglia di novità onde partecipare al cosiddetto divenire del mondo. Sport dove rotola o rimbalza una palla sono entrati in crisi al solo annuncio della Superlega sdoganata in sede di Unione Europea. Compreso il tennis, così ancorato al singolo, così condizionato da un muscoletto che si stira.
Penso immodestissimissimamente di poter offrire al ciclismo l’idea pratica meno costosa, più semplice, di più immediata messa in atto: non fare nulla.
Il ciclismo non deve fare altro che essere se stesso. Il ciclocross con il suo fresco successo è un di più felicemente, miracolosamente diremmo, aggiunto al grande ciclismo stradaiolo in linea o a tappe. Niente di più, per favore. Buffonate circensi sui pedali come quelle viste nel programma mondiale ultimo, per fortuna circoscritte a strade e piazze di Glasgow che non è una Gerusalemme delle due ruote, vanno non solo evitate, ma combattute. Il ciclismo non ha bisogno di specialità nuove. Ha bisogno di essere, di restare vecchio, impolverato, faticosissimo, casomai cruento come la Roubaix, di esser bestemmiato da ci lo pratica, lo esecra mentre lo officia e lo adora.
Personalmente - già scritto e lo riscrivo - mi tengo preziosa una sequenza di Vladimiro Panizza, uno dei forti scalatori dei miei antichi tempi, un mio amico, che sulla strada assolata dell’Aprica, in gran crisi fisica trascinata ormai da troppi giorni di quel Giro d’Italia, scagliava la bici per terra e mi urlava, tenero e feroce insieme: “Ma scrivilo che siamo bestie!”. E metteva una sua pietra nobile nel monumento di questo sport plebeo.
Il ciclismo non deve neanche migliorare troppo le biciclette, una sua forza è che ricordino quella di Coppi. E poi ci sono varianti che ingenerano il sospetto di immissione di pile, magneti, cosacce, insomma di assistenza clandestina antisportiva alla pedalata. Deve, questo stesso ciclismo, sfrucugliare le vette, le montagne, anche quando sono innevate, anche perché sono innevate, sono battute dal maltempo. O sono bianche ma di polvere, se non di neve. Il ciclismo ha bisogno di fachiri, di eroi. Bisogno? Diciamo che ha il diritto sacro di averli, e di gestirseli alla sua vecchia onesta maniera.
Con la Superlega del calcio siano arrivati ad un passaggio in cui, nelle corti dello sport massimo quanto a interesse cosmico, cicisbei e - novità - cortigiane eseguono i loro balletti davanti ai nuovi regnanti, ai padroni del petrolio, simbolo massimo della motorizzazione, cioè dell’anticiclismo. Il prossimo calcio sarà lezioso e cretino, spettacolare e finto, condizionato dal denaro, aristocratico e smidollato.
Basta tener duro sino al 2050, che è dopodomani: essì, poi il combustibile fossile dovrebbe ufficialmente essere escluso dall’uso da parte di un’umanità che smette di farsi del male, finiranno i soldi del petrolio finalmente negletto, moriranno tutte le superleghe dal petrolio inventate, i ragazzini arriveranno in bicicletta allo spiazzo dove fare sport, dove magari mettersi a giocare proprio a pallone.
da tuttoBICI di gennaio