Prima o poi si torna alle origini. Capita anche a Sonny Colbrelli, il miglior ciclista italiano dell’anno: presentandosi nella sede della Merida Italy, a Corte Tegge, per ritirare una mountain bike realizzata in esemplare unico per lui, il Cobra rivive sensazioni che arrivano da lontano. Una è proprio il fuoristrada, l’inizio della sua storia in bici: lì corse la prima gara quando era un bimbo grasso e miope, vincendola. Un’altra è il legame con la famiglia Reverberi, che vive a una manciata di chilometri da questo Natale anticipato: lì, oltre un decennio fa, ha iniziato il cammino che, nell’ultima stagione, l’ha portato a vincere prima il campionato italiano, poi quello europeo infine la Parigi-Roubaix da debuttante sul pavè.
«È stato un anno in cui è andato tutto bene, forse soltanto l’inizio poteva essere migliore. Dal campionato italiano in poi ho cambiato modo di correre, mi sono imposto di non aspettare più le volate, ma di muovermi in anticipo: così sono riuscito a fare grandi cose», racconta Colbrelli non distogliendo gli occhi dal gioiello consegnatogli dalla Merida per le sue scorribande su sterrati e prati, un telaio realizzato dal bike designer Andrea De Luca, soltanto omonimo del telecronista, con una livrea ispirata alla pelle del cobra.
Di gioielli nella sala esposizioni dell’azienda reggiana c’è anche la pietra di 17 chili che spetta al vincitore della Rubè («La vera fatica non è stata conquistarla, ma convincere mia moglie a tenerla in casa e non in giardino», scherza): è lì davanti che Sonny si concede a foto, selfie, chiacchiere di vario genere, quasi tutte su un’impresa che resterà unica come la data autunnale in cui ha vinto lui. Ma con Colbrelli è inevitabile toccare il discorso sui suoi precedenti reggiani, il rapporto stretto con i Reverberi che l’hanno lanciato nel professionismo e ancora lo considerano, come del resto l’intera Bardiani Csf, un figlio.
«Bruno l’ho sentito al telefono mentre arrivavo qui, prima di tornare a casa passerò sicuramente a salutarlo. Quante volte ho fatto questa strada per andare a prendere i suoi cazziatoni…», sorride Colbrelli, prima di regalare un paio di aneddoti. «Non dimenticherò mai quando in Qatar, passando davanti al mio tavolo mentre cenavo e vedendo che bevevo acqua gassata, Bruno mi bacchettò: complimenti, già sei gonfio, così ti gonfi ancora di più. E anche quando, sempre in un Paese arabo, mi fece salire sull’ammiraglia con lui per andare alla partenza e cominciò a dirmene tante che si distrasse e per poco non tamponò l’auto davanti: frenò di colpo, scartò sulla sinistra e, forse per il brivido appena corso, rincarò la dose di parole».
Da quellesgridate, è uscito questo Colbrelli che oggi, a 31 anni, è arrivato al grande successo, promettendo di non fermarsi qui. «Con Reverberi ho imparato che il peso conta parecchio e a questo devo la mia crescita. Gli anni passati qui mi hanno aiutato ad affrontare bene il mondo dei pro, facendo le cose nei modi e nei tempi giusti: i giovani oggi sognano tutti di entrare subito in uno squadrone World Tour, ma la fretta ne sta bruciando tanti. Con dirigenti e tecnici della Bardiani Csf ho ancora un rapporto straordinario, con Bruno scherzo spesso dicendogli: quando alzi il budget, così torno a correre con te?». Chi può dirlo, magari succede.
da Il Resto del Carlino