Caro Direttore, il 31 ottobre, dando conto dell’affaire Dagnoni-Bugno, lei concludeva: “Da parte mia un senso disperato di fuga: l’idea di trascorrere i prossimi due mesi in questo modo e in questo clima mi getta in uno stato di profonda mestizia, non so quanti hanno la forza di reggere questo stato di cose. Mi chiedono perché do poco spazio alla politica sportiva, mi chiedo perché dovrei”.
Non ho difficoltà a comprendere il suo stato di sconforto, lo stesso di tanti di noi, ma rifiuto l’idea che una persona della sua intelligenza, sensibilità e qualità professionale, voglia, seppure involontariamente, dare l’impressione di starsene da parte, come i due prossimi mesi di battaglia elettorale per il rinnovo del gruppo dirigente federale, non contenessero alcuna potenzialità di cambiare (nei limiti del possibile) o di risollevare lo stato del nostro ciclismo nazionale, davvero preoccupante, anche se non per tutti i settori e i vari protagonisti.
Non ho titoli per consigliarla in un mestiere che lei svolge in modo meritevole, ma, se posso, vorrei dirle, da semplice lettore, cosa io mi aspetto da Tuttobici/Tuttobiciweb da qui al prossimo 19 gennaio, giorno dell’Assemblea Nazionale.
Premesso che, anche quando non piacciano, i dirigenti sono sempre e soltanto quello che ci meritiamo perché eletti democraticamente e, quindi, con la nostra diretta responsabilità di averlo fatto o di non avere impedito che accadesse, quello che io vorrei, a partire da Tuttobici/Tuttobiciweb, è il conforto di una stampa che sceglie di svolgere in modo serio la sua parte senza essere di parte.
C’è bisogno che la polvere (ormai le macerie) non venga nascosta sotto il tappeto, illudendoci che un ciclismo raccontato solo da un punto di vista tecnico ed agonistico possa annaffiare le radici quasi compromesse di un ciclismo nazionale in difficoltà per colpe proprie e per le oggettive mutazioni sociali, infrastrutturali, economiche e culturali, che tanto complicano l’attività promozionale e tutto quello che ne consegue. A cui aggiungere gli effetti di una riforma dello sport astrusa e ingenerosa, che per mettere ordine in un qualcosa, strozzerà un poco alla volta le società di base.
Né, ancor meno, che con il solito e stucchevole refrain del “tanto sono tutti uguali”, oppure del “tanto non cambierà nulla”, si favorisca l’idea, di montelliana memoria, di continuare a votare gli stessi turandosi il naso.
Dire le cose come stanno, senza faziosità, morbosità e partigianeria, è quanto io mi aspetto se non altro da quella stampa sportiva che, pur avendo legittimi interessi editoriali, non ha comunque interessi economici diretti e corposi sul come il ciclismo viene spartito nelle sue fette di vantaggiose opportunità, se non quando di discutibili regalie.
Informare per analizzare le cose vere, anche quelle peggiori, a volte meschine, è compito precipuo della stampa compresa quella sportiva. Dipende solo da come lo si fa, dando con quel “voler essere” un contributo al bene pubblico e alla moralità di una comunità perché un poco alla volta possa espellere le scorie peggiori. Con l’ausilio anche di commenti e voci che aiutino di volta in volta la riflessione ed il confronto, sempre utili al raggiungimento delle sintesi migliori.
Anch’io, le assicuro, provo sgomento nel pensare di rivedere a breve candidature di soggetti che da anni sanno riproporre solo la propria narcisistica ambizione, autentici saltimbanchi tra una cordata e l’altra, aggrappati al tutto e al contrario di tutto pur di occupare gli scranni più alti, senza che mai gli si chieda veramente conto della loro incoerenza, mancata etica e insussistenza di risultato.
Sono certo che ancora una volta assisteremo ad assemblee provinciali in cui verranno eletti delegati nazionali senza che questi abbiano dichiarato per quale candidato voteranno all’Assemblea Nazionale, senza che i dirigenti delle società di base si siano interrogati su questo non senso di delega, miserevole per chi la sfrutta e ancor di più per chi lo concede. Inficiando sin dal nascere ogni pretesa di trasparenza e di onestà morale e sportiva, alimentando il vergognoso gioco di certi presidenti regionali o capi bastone che si recheranno a Fiumicino col loro pacchetto di voti pronti a giocarselo in operazioni di puro scambio: io voto te, e se vieni eletto tu mi darai questo o quest’altro, perché io possa tornare nella mia regione e far credere che sono stato comunque un protagonista. Pure loro giunti all’Assemblea Nazionale senza aver dichiarato esplicitamente il loro candidato di riferimento per riservarsi lo spazio di ogni combine al momento del ballottaggio. Si, certo, il ballottaggio, che possiamo dare per scontato allo stesso modo di certe candidature avanzate o che saranno avanzate al solo scopo di scombinare le previsioni più consolidate, per consentire le più imprevedibili alleanze dell’ultimo momento pur di non far vincere l’altro, che potrebbe davvero cambiare le cose, ma che, ahimè, potrebbe minacciare la tua rendita di potere, di cui le federazioni sportive sono assatanate ancor più della stessa vera e propria politica.
È tempo di dire basta con questi trasformismi personali e di sistema, e dire basta di quelli che Gianni Sinoppi, compianto dirigente emiliano, chiamava con disprezzo: i “voltagabbana”.
Molto di questo malcostume potrebbe essere eliminato adottando il voto diretto, online, senza intermediazioni fra elettori e candidati, con l’organizzazione del più classico degli election day, una opzione possibile da tempo, che la Giunta Nazionale CONI ha da quest’anno stabilito sia obbligatoriamente prevista negli statuti federali, ma che, ahinoi, l’ultima revisione dello statuto della FCI approvata a giugno, non ha fatto a tempo (?) di cogliere. Vedremo la prossima.
La stampa aiuti a fare chiarezza, con la chiarezza di non giocare in proprio, pretendendo che tutti dichiarino in modo trasparente per chi e per che cosa essere votati, non solo per quanti dovranno rappresentare gli affiliati, ma anche per quanti si candidano per le categorie dei tecnici e degli atleti, spessi più muti che altro. Soggetti a cui giustamente il Coni ha da tempo concesso il diritto di essere parte dei massimi organismi federali, dove però, va loro ricordato, pur nel solco della propria esperienza sportiva sono chiamati ad essere dirigenti, dirigenti a tutto tondo, non mere testimonianze di categoria.
Servono programmi seri al posto delle promesse più ammalianti, supportati da uomini e donne che già abbiano dimostrato credibilità in quel che dicono perché già lo fanno. E mi piacerebbe anche che in questi programmi fosse sancita la volontà, per la composizione delle prossime Strutture e Commissioni, di fare esclusivo riferimento a valori quali la competenza, la cultura, l’esperienza, l’etica e l’autorevolezza, rifiutando di usare queste sedi come occasioni di ripartizioni territoriali o contentini per gli amici di cordata, affinché anche queste sentano il dovere di contribuire alla miglior federazione possibile, ben oltre alla mera gestione di ruotine. Mentre per gli organi di giustizia è auspicabile la più severa autonomia.
Gianni Rodari, il poeta dei bimbi e del ciclismo fatto di fatica e umiltà, in una sua poesia, scriveva: “Io vorrei che nella luna ci si andasse in bicicletta”. Un sogno per ora impossibile. Non altrettanto forse che a Fiumicino si realizzino le premesse di un vero cambiamento.
Ecco perché, caro Direttore, e non me ne voglia se insisto, vorrei tanto che il suo “perché dovrei” di quel 31 ottobre, fosse presto tramutato in un più incoraggiante e opportuno “perché dovrò”.
Con riconoscenza e stima.
Silvano Antonelli