
Da anni Ercole Spada lavora per una società Equa e sostenibile, soprattutto inclusiva, prima ancora che queste parole, questi concetti diventassero hashtag, parole chiave per l’accesso in un mondo molto impegnato a seguire il politicamente corretto.
Equa è una delle società di Ercole, specializzata in servizi di verifica gruppi di misura energia elettrica (la altre sono Fedra e Elettra, ndr). Ma Equa dal 2013 è anche una società modello, forse la migliore d’Italia in materia di paraciclismo. Ma andiamo con ordine.
Ercole, dalla Sardegna a Santa Cristina e Bissone, nella Bassa Padana, a 20 chilometri da Pavia: come ci arrivi?
«La strada è lunga, ma da sempre sono abituato a fare un passettino alla volta per raggiungere le mie mete. Nasco il 21 gennaio del 1954 a Dualti, in provincia di Nuoro, in Sardegna, una terra che sento profondamente dentro di me e della quale vado molto orgoglioso».
Conosci sardi che non siano orgogliosi della propria terra?
«No».
All’ingresso del centro sportivo, che è poi anche azienda, svetta la bandiera dei quattro mori.
«Non potevo fare altrimenti, quella è la mia identità».
Bene, andiamo avanti.
«Mamma Elia faceva la postina a Dualti, come la mamma del grande Felice Gimondi a Sedrina, anche se io sono sempre stato un inguaribile moseriano. Papà Genesio fa per un periodo il minatore a Carbonia, poi fortunatamente diventa anche lui postino. Sono il secondo di quattro fratelli (Ovidio, Patrizia e Flavio, ndr), l’unico però che non ha voglia di studiare. Arrivo a fatica alla terza media, mi iscrivono a Ragioneria, ma papà si rende conto che non ho mai varcato la porta d’ingresso dell’istituto solo sei mesi più tardi: ai banchi preferivo la spiaggia di Bosa Marina. Le risparmio la reazione, posso però dirle che a 17 anni e mezzo mi reco in Comune per fare la carta d’identità e noto un manifesto che sembra parlare a me. Entra nei carabinieri! Io ci entro, con altri sei miei amici d’infanzia. Ci indirizzano prima a Genova, poi ci distribuiscono tra Stradella, Santa Maria della Versa e Corteolona. Io arrivo a Santa Cristina e Bissone: mi ambiento a meraviglia. Tre anni carabiniere, poi vado a lavorare per un breve periodo all’Agip Nucleare a Milano, prima in zona Porta Romana, poi in viale Brenta nell’ex palazzo della Geloso, sa quelli delle radio e dei registratori?... Essendo un malato di ciclismo e un accanito tifoso di Moser, una sera vado ad assistere alla Sei Giorni di Milano: è il 1983. Intercetto il signor Tonon, un dirigente della Sanson gelati, quella di Teofilo, che poi sponsorizzò felicemente Francesco Moser. Mi dice che in Sardegna non riescono a vendere gelati, che non hanno agenti, che sono proprio fuori dal mercato e io potrei essere la persona giusta per provare a entrare in quella realtà. Telefono a mio cugino Daniele Mura e lo invito a raggiungermi a Milano per parlargli di una cosa importante. In quattro quattr’otto troviamo il deposito, lo allestiamo, troviamo tre rappresentanti e io mi licenzio dalla Agip, anche perché il nucleare non ha futuro e io mi ero stufato di stare impiegato senza fare niente in attesa della chiusura. Io mi prendo la mia zona, quella interna della Barbagia, ed è subito un successo. In un amen conquistiamo il 60% del mercato. Io sono però uno che ama esplorare, che deve sempre avere stimoli nuovi e dopo tre anni decido di tornare a Santa Cristina nel Pavese dove apro un negozio di intimo da donna: è il 1986 e mando avanti l’attività per nove anni, fino al 1994. Quell’anno conosco un signore che si occupa di gasolio e scopro che si può guadagnare lavorando sulle accise dei prodotti petroliferi e così inizio una nuova avventura occupandomi di certificazioni e taratura dei contatori di energia elettrica. Abbiamo iniziato con un dipendente, oggi ne abbiamo 25, più uno che sta in Sardegna. Questa è in sintesi la mia storia».
Lei è sposato?
«Certo che sì, con Mariangela, che per anni ha lavorato al mio fianco e abbiamo un figlio, Lorenzo, che oggi è il legale rappresentate e tecnico della Equa. Ho anche un bellissimo nipotino, Sirio, di cinque anni: la mia gioia».
La sede sempre qui, a Santa Cristina e Bissone?
«Si, anche se all’inizio eravamo su una superficie più piccolina. Adesso abbiamo più di 5 mila metri quadrati».
Ma lei ha mai corso in bicicletta?
«Mai fatto nessuno sport: però so cucinare».
Sa che non vale?
«Però le posso far mangiare un risotto giallo con il torrone sardo da urlo».
Come arriva al paraciclismo?
«Per caso, come per tutto quello che mi è accaduto nella vita. Seguivo un amico era rimasto vittima di un grave incidente in bicicletta nel 2000 ed era finito in sedia a rotelle. Nel 2006 mi mostrarono una handbike e così con Paolo Cecchetto e Walter Groppi decidemmo di cercare una squadra. Nel 2012 mi ritrovai a Londra, ai Giochi Olimpici, visto che avevo deciso di accompagnare Paolo e la sua famiglia. Ricordo che Paolo era in grande forma, stava benissimo e volava, se non che alla fine di una discesa molto veloce scivolò sulla ghiaia e terminò in derapata contro le transenne. Fortunatamente non si fece male, ma non c’era nessuno ad aiutarlo, quando arrivarono poi riprese la corsa e concluse al 5° posto. Paolo era deluso, amareggiato come pochi, decise di non voler più andare avanti. Sua moglie mi pregò di dissuaderlo e decisi di fondare con Paolo e Walter una nostra squadra: era il 2013».
Da allora sono arrivate 6 medaglie d’oro olimpiche, 2 d’argento, 5 di bronzo, 22 titoli mondiali, 10 titoli europei, 21 coppe del mondo, 88 titoli italiani: in totale 748 podi.
«Con Cornegliani e Cecchetto arrivano subito i titoli italiani. Il primo titolo femminile ce lo regala Luisa Pasini, da allora abbiamo fatto davvero un bel viaggio, che sta proseguendo. Nel 2014 decisi di costruire a fianco della mia azienda un centro sportivo, per tutti e dico per tutti, perché accolgo non solo i miei 24 ragazzi paraciclisti, ma anche chi ha voglia di venire ad allenarsi. Una struttura senza barriere architettoniche, chiaramente, completa di studio di fisioterapia e una pista ellittica al centro del cortile per provare le handbike. Pensi che all’inaugurazione del centro, nel 2016, c’era anche Alex Zanardi, che ne rimase impressionato e mi disse: “Ercole, questo è quello che avevo in mente di costruire a Firenze”. Purtroppo oggi è impegnato in ben altra sfida».
Nel 2016 altra olimpiade: Rio.
«Quell’anno andammo in Brasile con un solo sponsor, la Rudy Project. Oggi abbiamo un gruppo di amici che credono in quello che stiamo facendo e ci danno una grande mano, ad incominciare dalla Armofer della famiglia Cinerari, grazie a Stefano e all’onnipresente Luca Colombo. In quella edizione vincemmo l’oro con Cecchetto, due argenti con l’ucraino Egor Demetiev ed un bronzo con Giovanni Achenza nel paratriathlon. A Tokio ci siamo riconfermati: oro con Cecchetto, un argento con Cornegliani e un bronzo con Acherenza. Oggi abbiamo vicino realtà come la Bardiani e la Csf di Andrea Ferrari, un amico come Rino Parmegiani, che segue personalmente Ana Vitelaru, una nostra tesserata».
A Parigi ancora meglio…
«Abbiamo puntato anche sul tandem, vincendo il bronzo, la prima medaglia in pista, grazie a Lorenzo Bernard e Davide Plebani, ex pistard azzurro, oggi collaboratore del CT Pierpaolo Addesi e marito di Elisa Balsamo. Questi due ragazzi sono stati eccezionali e non potrò mai smettere di ringraziarli. Pensa che Bernard per quattro giorni a settimana ha dormito da loro: l’hanno davvero trattato come un fratello. Tra le nostre guide abbiamo anche Paolo Simion, ex professionista e oggi componente della squadra di Lun Rossa».
La soddisfazione più grande?
«Quella che non ho ancora vissuto: ho tanti sogni».
Quali?
«Vorrei che i paraciclisti con meno disabilità gareggiassero con i dilettanti élite o gli juniores. E poi sono orgoglioso del nostro Fabrizio Cornegliani che rappresenta tutti gli atleti nel nuovo Consiglio Federale. La cosa bella è che adesso, ogni venerdì, avremo a disposizione anche il velodromo di Fiorenzuola, grazie a Claudio Santi che ha sempre mostrato una grandissima attenzione e disponibilità. È un progetto ambizioso, portato avanti dal coordinatore della pista Luca Taranti e da Rebecca Colombo. E poi con ogni probabilità, il 31 luglio, alla vigilia delle Serate di Fiorenzuola, grazie anche alla sensibilità dei Lyon di Piacenza, ci esibiremo in quel magnifico velodromo intitolato ad Attilio Pavesi. Siamo una realtà di grandi sportivi, perché questi sono i paraciclisti. Non sono l’altra faccia di una medaglia, ma la stessa. Ognuno con le proprie specificità, il proprio carattere, il proprio cuore, le proprie ambizioni e paure, distribuite in maniera Equa».
L'ORGANICO HANDBIKE
PAOLO CXECCHETTO (CAPITANO)
FABRIZIO CORNEGLIANI
WALTER GROPPI
MARTINO PINI
LUISA PASINI
SVETLANA MOSCOVICK
LUCA CASADEI
RITA CUCCURU
ANA VITELARU
GIOVANNI ACHENZA
DAMIANO MARINI
CICLISTI
LORENZO BERNARD ( DAVIDE PLEBANI GUIDA)
CHIARA COLOMBO ( ELENA BISSOLATI GUIDA )
FABIO COLOMBO ( MANUEL CADDEO GUIDA) (PAOLO SIMION GUIDA)
ANDREA CASADEI
EDUARD MOESCU
ANDREA TARLAO
LUIGI FERRACANE
CLAUDIA CRETTI
AGNESE ROMELLI
RICCARDO CADEI
MAIN SPONSOR
BARDIANI CSF INOX GROUP
TEAM MEMORES COMPUTER
COLOMBO SEVERO
ICES
AUTO INDUSTRIALE BERGAMASCA
NALINI
RUDY PROJECT
ARMOFER
KARHU
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