Ieri il bicampione olimpico Remco Evenepoel è stato vittima di dooring mentre si stava allenando. Questo è il titolo corretto della notizia che ieri dal Belgio ha velocemente fatto il giro del mondo. Il re di Parigi 2024, che questa estate si è messo al collo la medaglia d'oro sia nella prova a cronometro che in quella in linea di ciclismo, è finito in ospedale e sotto i ferri per colpa di una portiera aperta senza guardare da chi guidava un furgone.
Un episodio frequente e che la stampa di casa nostra purtroppo ha raccontato usando la narrativa del “ciclista che sbatte contro un furgone”, che “si infila sotto un tir”, che “va contro una macchina” o, nel migliore dei casi, è protagonista di un semplice incidente. L'Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, che di recente ha festeggiato l'ingresso del metro e mezzo per il sorpasso sicuro nel codice della strada, oggi ha scritto all'Ordine dei Giornalisti per chiedere alla stampa una maggiore attenzione nel descrivere eventi come quello portato alla ribalta dal fuoriclasse belga e che ogni giorno rappresentano un rischio per chi usa la bicicletta.
Il dooring, così si chiama quando qualcuno apre la portiera dell'auto senza controllare e un ciclista ne rimane vittima, è un pericolo che ha causato numerosi caduti, l'ultima vittima di cui abbiamo notizia si chiamava Francesco Caputo, morto a Milano, a 35 anni. Anche in quel caso la colpa dell'impatto fatale non è stata del ciclista ma di chi guidava il mezzo a motore e ha aperto lo sportello di scatto senza fare attenzione, ma i titoli di siti e giornali sono stati di questo genere: “ciclista si schianta contro una portiera aperta”, “ciclista finisce contro la portiera di un'auto”, “ciclista sbatte contro lo sportello aperto e vola sull'asfalto”. La colpa viene attribuita all'utente debole della strada, al ciclista che è andato contro la portiera e non l'ha evitata, alla vittima e non al carnefice.
Detto che quando si è al posto del guidatore è buona norma aprire la portiera con la mano destra per guardare dietro di sé ed essere sicuri di poter scendere dal mezzo a motore senza risultare un ostacolo improvviso per chi sta solcando la nostra stessa strada, oltre ai gesti contano molto anche le parole. Come vengono raccontati questi episodi ha un peso rilevante. Per questo i ciclisti e le cicliste della massima categoria hanno chiesto formalmente all'ODG di attivarsi per organizzare corsi formativi per sensibilizzare i giornalisti a raccontare correttamente la violenza stradale, come già avviene da anni per la violenza di genere.
«Comprendiamo la velocità con cui si è costretti spesso a lavorare nelle redazioni, ma riteniamo fondamentale che si faccia maggiore attenzione alla scelta delle parole e dei titoli dati alle notizie. L'Italia è il paese con più morti per chilometro pedalato in Europa, chiediamo l'aiuto di giornaliste e giornalisti per diffondere una cultura del rispetto alla vita quanto mai necessaria. Con i loro articoli, le storie che scelgono di raccontare e il modo in cui le riportano sui giornali, in tv, in radio e sul web possono contribuire a fermare la strage quotidiana sulle nostre strade» commenta il presidente di ACCPI Cristian Salvato.