Ogni atleta sulla linea di partenza dei Giochi Olimpici prova un'emozione fortissima: deve mettere a frutto il lavoro di anni in un giorno solo, in pochi minuti o addiritttura una manciata di secondi. Al colpo della pistola bisogna mettere da parte ciò che è stato finora e concentrarsi nel qui e ora. Non deve essere semplice per nessuno, figurarsi per Matthew Glaetzer, che negli ultimi due anni non ha dovuto vedersela “solo” con una pandemia globale e il rinvio dell'appuntamento olimpico ma soprattutto con un tumore. Una malattia che mette paura solo a nominarla, ancor di più quando colpisce un giovane come lui.
Nel novembre 2019 Matthew inizia ad avere uno strano male al collo che non vuole saperne di passare. Una risonanza magnetica emette l'inattesa diagnosi: cancro alla tiroide. Segue l'intervento chirurgico per rimuovere la crescita cancerosa. Come se non fosse abbastanza, il suo ritorno viene rallentato da un infortunio alla gamba, rimediato in allenamento nel febbraio del 2020. Eppure, nonostante non abbia corso per due anni, il 28enne di Adelaide è riuscito a conquistarsi un posto nella velocità a squadre della forte nazionale australiana che sul velodromo di Izu ha meritato il quarto posto. Al suo fianco i compagni di squadra con cui aveva corso anche a Rio2016 Nathan Hart e Matt Richardson, che sono stati al suo fianco anche nel periodo più nero.
«È stato un biennio molto difficile per me. Ho dovuto superare molti ostacoli. La diagnosi del cancro ha sconvolto il mio mondo e poi mi sono strappato il polpaccio, ho avuto problemi di tendinite e mentre cercavo di gestire il tutto mi sono fatto male al collo. È stato un processo difficile, ma ho dimostrato di essere abbastanza forte e ho avuto la fortuna di avere una famiglia super a supportarmi» raccontava con modestia e pudore alla vigilia della sua terza Olimpiade, in cui sta disputando anche il keirin.
Oggi dopo aver vinto la volata dei ripescaggi ed essersi assicurato un posto per i quarti di finale di domani, con gli occhi lucidi ci ha confidato: «Dopo due anni senza corse, lo sforzo del team sprint mi ha distrutto. Non ho partecipato al torneo della velocità, la specialità che mi ha regalato i successi più importanti in carriera, per riprendermi e cercare di farmi valere nel keirin, anche se non sarà facile visto il livello altissimo della competizione. Sono grato di essere qui. Alla fine è solo una corsa in bicicletta e c'è di più nella vita che lo sport d'elite. Sembra tutto il nostro mondo in questo momento, ma quello che ho passato ha cambiato la mia scala di valori. Oggi vedo tutto in un'altra prospettiva. Indipendentemente dai risultati, per me, le gare di questi giorni sono stati una celebrazione di ciò che possiamo fare nella vita quando lavoriamo duramente insieme».
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