Ieri ho scritto di Italo Mazzacurati, oggi mi occupo di Mario Minieri. Sono sempre i reperti archeologiciclistici, inediti e dimenticati, di quell’incontro del 2003, o forse del 2004, tra Bologna e Ozzano, da cui nacque il libro “Una vita da gregario” (con Giuseppe Castelnovi per EditVallardi).
LA VERITA’ “Da ragazzo credi di essere un campione. Quando capisci di non esserlo, il ciclismo non è più un piacere ma un lavoro”.
LA REALTA’ “La vita del corridore significava otto mesi senza donne e la sera a letto presto. Sul profumo delle donne potrei scrivere un libro”.
L’INFELICITA’ “Le peggiori umiliazioni non venivano dai capitani o dagli avversari, ma dai meccanici e dai massaggiatori. Perché i meccanici ti davano le ruote mezzo buone e via, i massaggiatori ti davano quattro schiaffi e via”.
LO SPIRITO “Eppure allenamenti e corse non li ho mai considerati sacrifici. Neanche l’allenamento invernale. Flessioni, piegamenti, scalinate, ginnastica, corsa di 10 chilometri a piedi da Bologna al santuario di San Luca”.
LA VOCAZIONE “Giocavo a calcio: portiere. Un giorno si fece una scommessa: su a San Luca in bici. Pronti, via, quando io ero in cima, gli altri arrancavano ancora alla prima curva”.
LE BICI “Le bici erano tragiche, anche la mia, con un tubo rotto e gli spinotti dentro per tenerlo insieme. Ma c’era un vantaggio: potevo lasciare la bici dove volevo, perché nessuno l’avrebbe mai voluta”.
LA CARRIERA “Cinque Giri d’Italia, il primo nel 1960, cinque Tour de France, il primo nel 1961, e una Vuelta, nel 1968, tutti finiti, e con una vittoria di tappa, al Tour, a Luchon, nel 1962. Quei sogni che si vedono solo nei film”.
LA CONFIDENZA “Per partecipare al mio primo Tour de France sarei andato a piedi. Per non partecipare all’ultimo mi sarei sparato”.
DUE SECONDI “Tour de France 1961, prima tappa, arrivo regale a Versailles, sfiorai la maglia gialla: volata, battuto solo da André Darrigade. Antonio Covolo, direttore sportivo dell’Italia – allora si correva a squadre nazionali -, mi sgridò: ‘Mi potevi dire che eri veloce, ti avrei fatto tirare la volata’. Tour de France 1964, tappa di Brive, fu Adorni a tirarmi la volata, ma ai 500 metri ruppi la catena, e comunque arrivai secondo dietro a Edward Sels. Quel giorno Adorni mi fece da gregario per ringraziarmi per quanto mi ero prodigato per lui il giorno prima: era entrato in crisi, lo aiutammo, lo sostenemmo, lo spingemmo”.
L’AVVENTURA “Giro d’Italia 1964, undicesima tappa, la Pesaro-San Benedetto del Tronto, Jacques Anquetil in maglia rosa, in programma la salita di Loreto. Tuoni, fulmini, saette: Italo Mazzacurati si fermò, aprì il fagotto, ne estrasse la mantellina, e io lo aspettai in fondo al gruppo. In quel momento si scatenò la bagarre. Luciano Pezzi, il nostro direttore sportivo alla Salvarani, mi ordinò di aspettare ‘Mazza’, che con Pezzi – credo – aveva fatto una gran ‘pignata’, una gran litigata. Attesi, tirai, stavamo rientrando quando ebbi un problema alla catena. La sistemai, tirai, ero quasi rientrato quando mi accorsi che ‘Mazza’ si era staccato. Davanti andavano a 60 all’ora. Pezzi fermò anche Franco Magnani e Battista Babini per aiutarci a rientrare. Obiettivo: arrivare entro il tempo massimo. Ma ‘Mazza’ si era lasciato andare e non voleva dare un cambio. Allora frenai, gli misi un pugno sotto il naso, lui s’impaurì e finalmente ricominciò a pedalare. In ritardo, passando per un paesino, alcuni spettatori ci fischiarono: ‘Mazza’ si fermò e cominciò a menarli. Fu la prova che si era ripreso, che era tornato in sé. Morale: vinse Raffaele Marcoli, io, Babini e Magnani arrivammo dentro abbastanza comodi, Mazzacurati per un pelo, forse attaccandosi a una macchina”.
IL SEGUITO “Fuori stagione, io e ‘Mazza’ andammo a caccia, a Spinazzola, in provincia di Bari. Strada facendo, ci fermammo in un bar dalle parti di quella tappa di San Benedetto del Tronto. ‘Mazza’ domandò al barista se il Giro fosse passato di lì. Il barista rispose di sì e cominciò a raccontare di un corridore, l’ultimo, che si era fermato e li aveva menati. ‘Ero io!’, dichiarò orgogliosamente ‘Mazza’. Stavolta fummo noi a scappare”.
LA MIRA “Circuito di Imola. Un tifoso, a parolacce, prese di mira Ercole Baldini. Finché Baldini prese di mira il tifoso e, a un passaggio, gli tirò un cazzotto al volo. Da quel momento il tifoso non si sentì più”.
IL GUAIO “Le pedivelle. In carriera ne spaccai undici, proprio vicino all’occhiello in cui si inserisce il pedale. Un po’ perché non erano gran cose, un po’, forse, anche perché quando saltavo sui pedali ero troppo potente”.
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