Dice Beppe Conti dal palco Rai: “Non commettiamo l'errore clamoroso di dire Giro finito”. Caro Beppe, c'è sempre un cretino che commette certi errori clamorosi. Eccomi qui, pronto a commettere l'errore clamoroso. Giro finito. Però voglio essere ancora più preciso: il Giro non è nemmeno mai cominciato. Se vuoi faccio outing completo e dico anche chi lo vincerà secondo me: la sparo grossa, Pogacar. Non mi chiedere come faccio a essere così lungimirante, sensitivo tipo Mago Otelma: non lo so da dove mi vengano queste doti paranormali, vado a istinto, ma davvero qualcosa mi dice che vincerà Pogacar.
Se vuoi provo anche a spiegare come mi sia venuto in mente questo “errore clamoroso”. Alle volte, le combinazioni: arrivando sotto Oropa, Tadej fora e addirittura cade, la scena mi ricorda qualcosa, ma dev'essere che la Madonna di Oropa concede subito la grazia a chi s'inchina ai suoi piedi, difatti il sinistro anche stavolta si trasforma in prodigio. Pogacar rientra, Pogacar guarda in faccia i suoi presunti rivali e poi quando gli garba se ne va da solo fino al cospetto della Beata Madre. Tappa e maglia per lui. Ed è qui che io ci metto sopra l'“errore clamoroso”: Giro finito. Ovviamente, la mia prodigiosa previsione da veggente superdotato va considerata al netto del superlavoro che stanno preparano i beccamorti in agguato, al grido guarda com'è finito Vingegaard, al grido può succedere di tutto, al grido il Giro è molto lungo (l'ha allungato Petacchi al “Processo”, dopo un secolo a dire tutti quanti che il Giro è lungo).
Uscendo dal metafisico per tornare alla realtà, mi pare comunque di essere in buona compagnia. Escludendo me, mi sembra che dopo tutto i più convinti sostenitori del Giro finito siano i presunti rivali di Pogacar. Basta vedere come corrono, basta sentire quello che dicono. Riassumo: corrono per il secondo posto, convinti che a quello si possa puntare. Mortaccioni, rinunciatari, codardi? Non ci sto. E' ingeneroso. Io li definisco in un altro modo: consapevoli. Si rendono benissimo conto, correndogli vicino, con chi hanno a che fare. Capiscono al volo che il solo tentare di stargli a ruota significa prendere il badilino e seppellirsi. Meglio lasciarlo al suo sport e dedicarsi al ciclismo normale, puntando a un bel podio romano. Sinceramente: non me la sento di chiedere loro qualcosa di più, non voglio una denuncia per istigazione al suicidio.
Piuttosto, esorto i depressi dell'equilibrio e del livellamento, del Giro finito all'ultimo chilometro sul filo dei venti secondi, li esorto a non prenderla così male. Un'alternativa è possibile, al loro ideale supremo di spettacolo. L'alternativa è questa, ha un nome e un cognome, Tadej Pogacar. Cioè un ragazzo che avverte il richiamo ancestrale della vittoria, che butta a mare calcoli e schemi (il più gettonato, qui in Giro: “Se vuole vincere il Tour, chi glielo fa fare di sbattersi dalla prima tappa, potrebbe aspettare l'ultimo sabato sul Monte Grappa, minimo sforzo e massimo risultato”), che non resiste al fascino di attaccare sempre, e che soprattutto – forse più di ogni altra pulsione – coltiva il gusto di divertirsi come un matto in bicicletta.
Lo dico per inciso: due tappe e due show grandiosi. A Torino fa volare gli stracci e perde lo sprint. A Oropa fa volare gli stracci e vince di prepotenza (uguale uguale al Giro dell'anno scorso, quando aspettammo tre settimane per la prima emozione, nell'ultima cronoscalata).
Io chiamo questo lo spettacolo unico del fenomeno, qualcuno lo chiama noia mortale. Rispetto i gusti, ma mi tengo Pogacar. Anche perchè, dopo aver visto Merckx da bambino, mai avrei pensato di rivedere nella mia sporca vita qualcosa di simile.