
Resta la più indecifrabile, la meno pronosticabile. L’ha vinta Nibali, ultimo dei nostri a riuscirci nell’ultimo decennio, non l’ha vinta Sagan, il più adatto di tutti. Persino Pogacar, che anche nelle classiche corre da marziano, ancora non l’ha fatta sua. Delle classiche che contano, la Milano-Sanremo è la più facile e al tempo stesso la più complicata: strizza l’occhio a tanti, ma non si concede a tutti. E’ la più lunga (289 chilometri da Pavia alla città dei fiori), è la più scontata nel copione (oltre sei ore di sbadigli prima di una formidabile scarica di adrenalina con i dieci minuti su e giù dal Poggio) e ha un fascino al quale nessun grande campione si sottrae. Di quelli che sono già nell’albo d’oro, si presentano al via in sei (Degenkolb, Alaphilippe, Stuyven, Mohoric, Van der Poel e Philipsen). Di un italiano (Saronni, nel 1983) l’ultimo successo in maglia iridata, di italiano si è visto poco in questo millennio (cinque successi in tutto, l’ultimo sette anni fa). Ecco le dieci facce più accreditate per aggiudicarsi il festival della bici.
Tadej Pogacar. Vince perché è la sfida che lo intriga più di tutte, perché in salita ha una potenza superiore agli altri, perché fare centro con la maglia di campione del mondo è uno stimolo in più. Non vince perché questa classica ha sempre un modo per far saltare i piani anche al più forte.
Mathieu Van der Poel. Vince perché ha più modi per farlo, perché nel finale di questa classica davanti c’è sempre, perché anche quest’anno ha usato la Tirreno Adriatico per tirarsi a lucido. Non vince perché ha cominciato tardi la stagione e il suo pensiero è rivolto soprattutto al Nord.
Filippo Ganna. Vince perché è una delle classiche più adatte alla sua taglia, perché il secondo posto di due anni è un segnale e non un episodio, perché non si è mai presentato pronto come quest’anno. Non vince perché c’è chi sulle salite brevi ha qualcosa più di lui.
Jasper Philipsen. Vince perché c’è già riuscito un anno fa, perché in primavera si considera uomo da classiche e non un semplice velocista, perché in caso di volata ha una marcia in più di tutti. Non vince perché uscire ammaccato da una caduta a tre giorni dalla corsa non aiuta.
Mads Pedersen. Vince perché sta andando fortissimo, perché è la prima opzione di una squadra che come alternative propone Stuyven e Milan, perché le tre edizioni disputate le ha chiuse tutte nei primi sei. Non vince perché non amare questa classica gli toglie qualcosa.
Tom Pidcock. Vince perché vive un grande momento di forma, perché è uno che sugli strappi non si stacca e in volata non è fermo, perché centrare una grande classica è il suo obiettivo principale. Non vince perché sta andando forte da due mesi e la fatica può presentargli il conto.
Julian Alaphilippe. Vince perché è questa è la classica che gli riesce meglio di tutte, perché la nuova squadra si sta rivelando uno stimolo in più, perché in stagione non ha ancora vinto ma ha aiutato i compagni a farlo. Non vince perché rispetto ai fenomeni sembra aver qualcosa in meno.
Olav Kooij. Vince perché è uno dei velocisti più in palla del momento, perché senza Van Aert in squadra ha più chances, perché un anno fa al debutto è arrivato a un passo da giocarsi la vittoria. Non vince perché il ritmo infernale che si farà nel finale soffocherà lui e quelli come lui.
Michael Matthews. Vince perché la Sanremo l’ha corsa davanti più di tutti, perché dopo un secondo posto e due terzi può completare l’opera, perché finora ha corso solo la Parigi-Nizza senza spremersi. Non vince perché in questo ciclismo 35 anni rischiano di essere una tassa pesante.
Biniam Girmay. Vince perché questa è una delle classiche più adatte a lui, perché vuol diventare il primo africano a conquistare una corsa monumentale, perché è un altro che tiene sugli strappi e ha spunto allo sprint. Non vince perché non corre da un mese e potrebbe risentirne in brillantezza.