
Milano-Sanremo, la prima, domenica 14 aprile 1907. Il raduno alle 3.30 alla Conca Fallata. All’appello rispondono 33 dei 62 iscritti. Il pronti-via alle 5.18, con 48 minuti di ritardo sulla tabella prevista. Lo starter è Giuseppe Vigorelli, ex pistard, ex assessore, industriale, che avrebbe ideato il velodromo di via Arona. Il tempo fa schifo: buio, freddo, pioggia, nevischio.
A Pavia, primo controllo, passano cinque italiani: Cuniolo, Ganna, Gerbi, Galetti e Albini. Nel secondo gruppo, con i francesi, anche Giovanni Rossignoli. Lo chiamano Baslot, la scodella del vino e della zuppa. Pavese, è accolto con onori, tributi, applausi, grida, nonostante l’ora e il meteo. Chissà, forse si emoziona, certo si distrae, Baslot nella discesa del Ponte Vecchio cade, proprio a pochi metri da casa, in via dei Mille. Lì lo aspetta Maria, sua madre. “Giuanìn, ciapa l’umbrèla ca piova!”, gli dice la mamma. “Mama, tegnsl ti che se no at bagnat”, le risponde il figlio. Un bacio e via.
L’ombrello è un caso storico. Questa versione appartiene a un cronista dell’epoca. Clemente Canepari nel suo diario lo contesta: “Cronache romanzate”, “Niente di più fantasioso poteva partorire il cervello di un cronista”, “Vi posso assicurare che, avendo corso praticamente a contatto di gomito con Rossignoli per i primi 60 chilometri, non mi sono accorto della cosa”. Claudio Gregori, nel suo “Il romanzo di Baslòt” (Bolis, 2019), rivela: “L’assicurazione di Canepari, però, è gratuita. Infatti Rossignoli cadde nella discesa del Ponte Coperto e Canepari gli scivolò davanti con i francesi. Certamente non era presente al rendez-vous di Baslòt con la madre, pochi metri dopo, mentre il giornalista era lì”.
C’è anche un’altra versione, quella narrata da Stefano Domenichini (sdiario.com) nella storia di Giuseppe Ticozzelli, l’unico che abbia mai disputato una partita di calcio con la nazionale azzurra (Italia-Francia 9-4 nel 1920, arrivando allo stadio, il Sempione, in bicicletta, 56 chilometri da casa) ad aver partecipato a un Giro d’Italia (nel 1926, indipendente, con la maglia nera stellata del Casale, la sua squadra di calcio):
“Ticozzelli lo vide la prima volta nel 1907, quando andò a Pavia per il passaggio della Milano-Sanremo. Baslott (Domenichini lo scrive con due t, ndr) era in fuga, sotto una tempesta d’acqua. All’altezza della Porta di Borgoratto, Tico vide una donna che correva incontro al corridore e gli porgeva un ombrello. Baslott rallentò, aprì l’ombrello, e ripartì di gran lena, con quel suo stile scimmiesco, goffo ma efficace, reso ancor più dissestato dal parapioggia nero che, tra coefficiente di viscosità dell’attrito e rimbalzi dell’acciottolato umido e fangoso, si sentiva inutile e perso, ma presente in quell’attimo di marzo. Quando, anni dopo, il Tico conobbe Baslott, gli chiese se quell’ombrello fosse arrivato in riviera. Il ciclista si fece serio, abbassò il mento e disse: ‘Quella donna era mia madre. Ho dovuto aspettare tre curve prima di buttarlo via’”.
Domani è prevista pioggia. Salterà fuori qualche ombrello. Non allungateli ai corridori. Forse soltanto Rossignoli lo avrebbe accettato. Ma da sua madre.
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