Tre anni, mille giorni di lavoro, quarantaseimila chilometri, sette incidenti. Enrico è un “rider”, ciclofattorino, corriere garzone messaggero in bicicletta. “Una volta si è spaccato la faccia su uno dei tanti binari che frastagliano le strade di Torino. Era in piazza Derna, una rotonda che non finisce mai col tram che passa proprio lì in mezzo, e diluviava: un’auto quasi gli va addosso, lui sterza di botto e scivola sulle rotaie. Un’altra volta è stato preso in pieno da un prete. Dell’impatto non ricorda niente, ma sa che quando ha riaperto gi occhi e ha visto quell’uomo con il collarino bianco in piedi al suo fianco, ha pensato: sono in Paradiso”.
Il pericolo è il loro mestiere. La velocità è il loro comandamento. La vulnerabilità è la loro natura. Pedalano, ricevono, pedalano, consegnano, pedalano, ricevono, pedalano, consegnano, pedalano, ricevono, pedalano, consegnano. Più ricevono, più pedalano, più consegnano, più guadagnano. Guadagnano poco, pochissimo, una miseria rispetto all’impegno, ai pericoli, ai rischi, spesso non coperti. Perché l’assicurazione, obbligatoria dal 2019 anche se si tratta di un lavoro nato alla fine dell’Ottocento, in Italia copre dal momento in cui si accetta l’ordine al momento in cui si arriva a casa del cliente. Il resto, e non è poco, è a loro carico. Testa, braccia, gambe. Ossa, nervi. Sangue. Se la va, la va. E se non la va, amen, avanti un altro, sotto un altro.
Rosita Rijtano ha scritto “Insubordinati” (edizioni Gruppo Abele, 128 pagine, 14 euro), un’inchiesta sui “rider”, termine inglese usato come per dare loro più fascino, attrattiva, tendenza, ma sempre poca – troppo poca – tutela, protezione, difesa. Bici, casco (chi se lo mette), sacca e via di polpacci. I ciclofattorini, cavalieri metropolitani, attraversano, arano, scorrazzano, svicolano, sverniciano e anche volano, nel senso dell’andare più forte di macchine incolonnate e autobus bloccati, ma anche nel senso di scivolare, cadere, rovinarsi sull’asfalto.
Rijtano ha cercato di saperne di più per capire e poi spiegare, dimostrare. Gli algoritmi, che scandiscono i cicloritmi, ma non i bioritmi. I disorientamenti, a cominciare da quelli di organizzazioni che invece dovrebbero semplificare e soccorrere. Le discriminazioni, nei sistemi di chiamate, orari, punteggi. Nella sua indagine l’autrice si è fatta anche installare l’applicazione che Glovo mette a disposizione dei ciclofattorini e si è connessa alla piattaforma usando le credenziali di un amico. Insomma, verifiche da dentro il sistema.
“Insubordinati” comincia da un nobile intento (la ricerca della verità), s’impegna in una valorosa lotta (riconoscere la dovuta dignità e sicurezza) e vanta una bellissima copertina (l’illustrazione è di Francesco Lopomo).
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