Al convegno dei medici sportivi che operano nel mondo del ciclismo in corso a Faenza (Ra) il professore, che come perito ha seguito tanti casi di positività, interrogato dal presidente A.I.Me.C. Roberto Corsetti sulla "salute" del ciclismo ha spiegato: «Nel ciclismo il concetto del "tutti si dopano, lo devo fare anch’io" non esiste più. C’è stato sicuramente un effetto deterrente del passaporto biologico, tanto che dal 2014 i casi di positività per passaporto si sono ridotti di molto. Il doping oggigiorno, ora parlo in generale di tutte le discipline e non specificatamente di ciclismo, si usa nei periodi di allenamento per abituare il corpo a sopportare carichi di lavoro più importanti e non più come una volta nel periodo delle gare o in prossimità degli eventi più importanti».
E ancora: «Ormai le microdosi di Epo o le microtrasfusioni rendono veramente difficile il nostro lavoro. Tutto il sistema del passaporto biologico, introdotto dal ciclismo nel 2008 (prima federazione internazionale ad adottarlo, ndr), si articola ancora in un valore, quello di off-score, che determina la soglia di attenzione: più è alto, più potrebbe essere indice di un illecito. Ma i valori di off-score alti, che indicavano un aumento repentino dell’emoglobina e una caduta violenta dei reticolociti a seguito della stimolazione esterna del midollo dovuta all’eritropoietina, non si vedono più. Microdose vuol dire microeffetti. Detto questo, di sicuro, il ciclismo è in questo momento lo sport che ci sta dando meno lavoro: quello che vedevo negli anni 90 non c’è più».
da Faenza, Giulia De Maio
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