
Il 2025 di Martina Fidanza è iniziato con tanti cambiamenti, ma con la conferma che quando si parla di pista rimane una assoluta eccellenza del nostro movimento nelle specialità di endurance. I primi mesi dell’anno sono stati per la venticinquenne bergamasca decisamente frenetici, l’avventura in Visma Lease a Bike è stata una nuova sfida che ha accolto con emozione trepidante, ma anche con la consapevolezza di alzare ulteriormente di livello la sua carriera su strada.
Mentre prendeva le misure con la realtà olandese, è ritornata nei velodromi portandosi a casa un argento nella nuovissima disciplina al femminile del chilometro da fermo e due titoli europei: uno nello scratch e uno nel quartetto con Martina Alzini, Chiara Consonni e Vittoria Guazzini.
Parlare con Martina Fidanza equivale sempre a fare un viaggio con qualcuno che il ciclismo lo ama davvero, ma soprattutto lo vive giorno per giorno. Fin da giovane, la sua carriera è sempre stata divisa tra pista e strada, un bilanciamento praticamente perfetto che l’ha portata ad eccellere in entrambe le discipline senza mai rinunciare a nessuna delle due. Con la nuova squadra è sempre stata chiara fin dai primi contatti in videochiamata nell’estate scorsa e il team olandese non solo ha accettato, ma ha appoggiato la scelta della bergamasca di proseguire con la multidisciplina agevolandole anche i vari spostamenti.
Ad inizio febbraio ha esordito su strada all’UAE Tour, un modo perfetto per macinare chilometri nelle gambe e tornare a provare l’adrenalina della competizione in un gruppo del tutto nuovo. Nella prima tappa lei e le compagne hanno fatto tutte fronte comune per supportare Nienke Venhoven poi terza in volata, mentre nell’ultima giornata di gara Martina si è portata a casa un bellissimo sesto posto che la proietta tra le grandi dello sprint. Nemmeno il tempo di elaborare l’ottimo risultato che in serata era già su un aereo diretta agli europei in pista.
Non è semplice passare da una disciplina all’altra, oltre il cambio bici ci sono lunghi trasferimenti a cui, nonostante l’esperienza, non si è mai veramente abituati. Come delle vere highlander, Martina e le compagne del quartetto sono atterrate a Zolder, in Belgio, con ancora nelle gambe la corsa degli Emirati, giusto il tempo di riprendersi che erano già in gara a caccia del primato.
«Credo che correre prima su strada sia stato fondamentale un po’ per tutte perché ci ha fatto rompere il ghiaccio e ci ha permesso anche di testare la gamba, ma tutto questo poteva essere un’arma a doppio taglio. Nella prima tappa siamo state tutte un po’ in controllo, ma le altre giornate sono state molto intense, abbiamo dovuto recuperare le energie in pochissimo tempo. Subito dopo l’ultima tappa siamo salite insieme sull’aereo, abbiamo viaggiato di notte e non nascondo che eravamo un po’ preoccupate: Chiara, Martina e Vittoria erano tutte cadute in UAE, addirittura in più occasioni, bisognava capire come stavano e soprattutto non potevamo forzare subito» ci spiega Martina che è stata l’unica del quartetto a passare indenne la rassegna emiratina. Resettare tutto per le gare in pista non è stato facile, sicuramente l’esperienza delle giovani ma navigate atlete ha fatto tanto, così come il sempre prezioso Marco Villa che ha messo le ragazze nelle giuste condizioni per performare al meglio. L’esordio è stato ottimo, la sfida contro la Gran Bretagna ha confermato la tenuta del quartetto che in finale contro la Germania ha vinto una vera e prova di resistenza che è valsa l’ennesimo titolo continentale. La possibilità di crollare era letteralmente dietro l’angolo, ma il segreto è stato proprio l’unità delle quattro ragazze che si conoscono da sempre e insieme sono cresciute in bici.
«Abbiamo capito subito che, più che con le gambe, in finale dovevamo gareggiare con la testa; sapevamo di non aver la miglior condizione possibile e se avessimo perso la concentrazione in un attimo avremmo rischiato di fare 10 secondi in più e di ritrovarci fuori dai giochi. Io ero l’unica del gruppo a non essere caduta durante la gara su strada, dovevo capire come stessero le altre, supportarle. Credo che questa volta la nostra arma vincente sia stata conoscerci da sempre, ormai apertamente ci diciamo tutto, i nostri dubbi, le nostre preoccupazioni e questo ci permette di capire e sopperire ad eventuali mancanze. Le ragazze sono state veramente straordinarie, nonostante la fatica e la sofferenza per la caduta hanno tenuto alla grande, in finale abbiamo fatto di tutto per rimanere compatte, una sfida sia di gambe che di nervi».
Mentre con il quartetto le azzurre segnavano il tempo per poi giocarsi la finale, Martina era già focalizzata anche sullo scratch, la sua disciplina da sempre, che negli anni le ha regalato anche due titoli mondiali. Fin dalla prima sera, arrivata al velodromo ha cercato di riprendere dimestichezza sulla bici da pista e resettare tutto per una gara resa ancora più complicata dall’ingombrante presenza della campionessa dl mondo Lorena Wiebes.
«È brutto dirlo ma quando hai Lorena come avversaria, parti già con l’idea che nell’oltre 80% dei casi sarai battuta e dovrai lottare per il secondo posto. Sapevo benissimo di partire da sfavorita, eppure avevo una sensazione strana, dovevo fare la mia corsa e provare a credere a quel meno del 20% di possibilità di riuscirci. Ho utilizzato un rapporto molto lungo e ho messo da parte ogni strategia, sarebbe stato semplice tenere la sua ruota e accontentarsi, ma non volevo proprio farlo. Negli ultimi due giri, grazie alla buona trenata dell’atleta irlandese Gillespie, mi sono trovata in un’ottima posizione e sono partita in progressione. Prima o poi mi avrebbe superata, ne ero sicura, ma quando ho visto che non ci riusciva mi sono detta che non dovevo mollare, dovevo crederci fino in fondo».
Nei due giri finali Martina è stata protagonista di una progressione al cardiopalmo che ci ha tenuto tutti incollati al televisore: attualmente Lorena Wiebes è la numero uno in fatto di sprint, averla battuta aggiunge valore al risultato di essere campionessa europea. Come ci dice la stessa atleta bergamasca, è stato come abbattere un muro, sfatare un mito dimostrando che se ci si crede davvero, ogni cosa diventa possibile e chissà, magari anche su strada potrà ripetere la vittoria.
Sentire i racconti della rassegna europea ci porta l’immagine di una Martina totalmente ritrovata, pronta ad iniziare una nuova sfida e a riprendersi da un quarto posto olimpico che ha fatto più male di quanto possa sembrare. Negli ultimi anni abbiamo seguito il percorso del quartetto da Tokyo 2020 al sogno di Parigi, un cammino lungo che ha richiesto sacrifici e che ha poi portato un risultato prestigioso ma al contempo amaro. Martina aveva riposto tante speranze, aveva dirottato tutte le sue ultime stagioni verso la pista per poi ritrovarsi quasi ad un punto morto con tanti dubbi.
«Negli ultimi anni ho praticamente sacrificato tutto per il quartetto, avevo rinunciato per due volte al Giro e ho fatto tantissima altura per arrivare alle Olimpiadi al meglio della mia condizione. Tutte eravamo motivate, ci credevamo e nella finale per il bronzo eravamo partite anche molto forte, poi è successo qualcosa, ci è mancato letteralmente il finale e in un attimo abbiamo perso tutto. Quando sono tornata a casa dopo Parigi mi sono sentita svuotata, è stato un periodo molto duro, stavo per mollare, anche perché a settembre prima dei mondiali in pista ho avuto un incidente in allenamento, l’ennesima cosa che non andava. Fortunatamente al mio fianco ho sempre avuto una famiglia forte e speciale che mi ha supportato, in particolare mia sorella Arianna c’è sempre stata, ha visto che ero in difficolta e ha cercato di spronarmi a non mollare. Poi a fine stagione ho staccato completamente dalla bici, l’ho messa da parte e mi ha fatto davvero bene, ma credo che la cosa che mi abbia aiutato maggiormente sia stata la prospettiva di ricominciare con una nuova squadra. Ho sempre sognato di correre in un team così importante, mi ha dato un grande stimolo, era un obiettivo che volevo raggiungere a tutti i costi» ci confida Martina con il cuore in mano.
Il passaggio in Visma Lease a Bike ha rappresentato una vera boccata d’ossigeno, una nuova avventura in cui si è buttata con tutta se stessa inseguendo un sogno bellissimo. A dicembre, quando l’avevamo trovata alla premiazione del Giro d’Onore ci aveva raccontato le prime impressioni riguardo al nuovo ambiente, tutto più grande, tutto più curato, una specie di altro mondo in cui aveva riscoperto letteralmente se stessa. Affrontare il passaggio non è stato semplice, ha dovuto cambiare il preparatore che la seguiva da ormai cinque anni e la nutrizionista, ma soprattutto ha dovuto prendere le misure con un mondo nuovo, più internazionale, quasi... gigantesco.
Martina è stata subito entusiasta della nuova avventura, ha migliorato il suo inglese ed è entrata in un meccanismo in cui la consapevolezza dei propri mezzi è la chiave per raggiungere ogni traguardo. L’atleta bergamasca non ci ha mai nascosto di vivere una specie di sogno, d’altronde non capita tutti i giorni di trovarsi nella stessa squadra del proprio idolo Marianne Vos, un primo impatto decisamente strano ma al quale ormai ha fatto praticamente l’abitudine. Il debutto dell’olandese è ancora lontano, ma all’UAE Tour Martina ha avuto la possibilità di correre a fianco di Pauline Ferrand Prevot, l’altra fuoriclasse della corrazzata che, dopo aver fatto fuoco e fiamme in mountain bike, ha deciso di ritornare su strada.
«È stato bellissimo correre con lei anche perché era la sua prima gara su strada dopo il rientro. Nessuno si aspettava che andasse così bene in gruppo: eravamo tutte pronte a pilotarla e invece lei si è mossa come se lo avesse fatto da sempre. È un’atleta incredibile, è veramente determinata a provare a fare la differenza, credo che per molte sia un modello, io sto cercando di imparare da lei il più possibile e sinceramente non vedo l’ora di farlo anche con Marianne Vos. Durante il ritiro abbiamo avuto la possibilità di confrontarci e ho capito subito che è un’atleta pazzesca, molto alla mano ma con una determinazione anche lei incredibile» dice Martina che intanto impara dai suoi modelli per cercare di diventare un’atleta ancora migliore.
L’obiettivo di questa stagione è lavorare tanto sulla tenuta nelle brevi salite per provare a fare la differenza anche nelle corse del Nord, ma soprattutto migliorare nell’esplosività e tenere testa alle velociste pure.
Dopo un periodo di pausa, Martina è pronta per il blocco delle classiche con De Panne, Gent-Wevelgem e la possibilità di disputare la Vuelta o il Giro che partirà dalla sua Bergamo.
Nel 2025 la pista avrà sempre un posto speciale, anche se a causa di incastri complicati il prossimo vero obiettivo saranno i mondiali in Cile.
«Mi piace correre su pista, in qualche modo fa parte di me, credo da sempre» ci ha ripetuto Martina più volte durante la nostra chiacchierata facendoci capire che, nonostante le delusioni e gli obiettivi sempre più grandi su strada, correre nei velodromi ha un posto sempre speciale nel suo cuore. Sentirla parlare della pista regala un’emozione in più, la sensazione di entrare in un mondo magico che l’ha accolta sin da bambina e da cui non ha più voluto uscire.
«Mi ricordo perfettamente la prima volta che sono stata a Montichiari. Ero esordiente primo anno e fino a quel momento avevo girato solo in pista a Dalmine, non sapevo usare la bici senza freni e avevo paura. Mi avevano fatto girare un po’ da sola e poi, un po’ per mettermi alla prova, mi avevano fatto fare uno scratch con i ragazzi, mi ero subito innamorata di quella disciplina. Era tutto bellissimo, in particolare d’inverno, a Montichiari c’erano delle gare quasi ad ogni weekend, si animava di persone che venivano a vederci, ho capito subito che con quel posto c’era un legame speciale. È strano pensare che abbia iniziato proprio con lo scratch, mai avrei immaginato che sarebbe poi diventata la mia specialità, qualcosa che avrebbe fatto parte di me» ci racconta Martina quando le chiediamo se pensa mai alla prima volta che è entrata in pista.
In ogni gara c’è il ricordo speciale di una passione che fa parte del suo dna, ma anche la determinazione, la consapevolezza di puntare sempre più in alto.
La vittoria agli Europei può essere vista come la ripartenza di un progetto che non è più un potenziale, ma una realtà grande e importante del panorama italiano. Con le nuove nomine federali, Marco Villa diventa ct della strada, ma non ci saranno grandi terremoti nell’assetto della pista femminile. Come ci conferma la stessa bergamasca, la struttura rimarrà praticamente invariata con Diego Bragato che avrà maggiore responsabilità, Villa sarà sempre al suo fianco e il progetto partito da da Tokyo 2020 proseguirà con l’obiettivo di far crescere ancora di più il movimento.
Sulla strada di Martina ora si apre la possibilità di lavorare anche sul chilometro da fermo, disciplina in cui, senza nemmeno preparazione specifica, agli Europei di Heusden-Zolder si è aggiudicata la medaglia d’argento, c’è lo scratch, che è l’amore di sempre, e c’è il quartetto con cui la sfida è appena iniziata. Los Angeles è ancora lontana eppure non ci si può non pensare, l’atleta bergamasca sta già lavorando duro per rincorrere i suoi sogni, intanto c’è la strada con una nuova avventura e un mondo ancora da scoprire.
L’obiettivo è quello di tornare al successo, magari cogliendolo per la prima volta in una gara World Tour: ormai ne siamo certi, Martina Fidanza non ha paura di affrontare tutto di petto sognando dentro e fuori la pista. Non ci resta che seguirla...
da tuttoBICI di marzo
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.