Evviva il Bondone, il Giro è esploso, tappa che rimarrà impressa nella storia della corsa rosa: non sono parole mie, sono le prime che aprono il “Processo alla Tappa”, un “Processo” talmente memorabile che Fabretti dice senza mezzi termini “dovrebbe essere lungo tre giorni per tutte le cose da dire”.
Siccome di tappe clamorose e di imprese indimenticabili se ne sono viste, anche prima di questo Bondone, vediamo di quale cataclisma si sta parlando: Almeida vince (meritatamente) la tappa dopo aver corso immancabilmente sotto la pioggia un gran finale (terza vittoria della Uae senza Pogacar, non è una scherzo), Thomas si rimette la maglia arrivando secondo (ma dopo aver rifilato l'attacco giusto negli ultimi chilometri), Roglic che sarebbe il grande sconfitto incassa 25''.
Tappa bella, finalmente, bellissima se confrontata alle prime due settimane, ma vediamo di essere realisti: non è il finimondo. Si parla già di Roglic come di un rottame alla deriva, neanche avesse preso la cotta del quarto d'ora. Sinceramente, non capisco fino in fondo. Lo vediamo sfilare nell'ultimo chilometro tutt'altro che sbrindellato, certo non da sbattere via. Va bene leggere il segnale di difficoltà, va bene non sottovalutarlo, ma il risultato non è niente di che, niente di trascendentale, men che meno di irrecuperabile.
Temo ci sia molto di nostro, in questa enfasi del Bondone: delle nostre due settimane di astinenza, della nostra fame di spettacolo e di battaglia, in altre parole dell'attesa ossessiva di qualcosa. Se Dio vuole, qualcosa ce l'hanno concesso. I triello dei big risponde finalmente ai propri obblighi di ruolo e di prestigio. Grazie infinite, ci siamo abbastanza divertiti, meglio, abbiamo cominciato a divertirci, però direi di fermarci qui: non è successo niente di apocalittico e non c'è niente che giustifichi “un Processo di tre giorni”. Tant'è vero che i primi tre sono lì in 29''.
Di questa tappa, io terrei buono più che altro questo: finalmente i papaveri, i tenori, le primedonne – come li chiamano qui di volta in volta – ci mettono la faccia ed escono allo scoperto, finalmente si danno una mossa, finalmente provano a vincerlo questo Giro, dopo aver trascorso due settimane a scansarsi. Ma siamo solo all'inizio. Il bello deve ancora venire, il bello ce lo devono ancora confezionare. Il Giro non è esploso. E' partito solo il primo botto.
Per fare un vero Capodanno serve dell'altro. Non un allungo sul filo dei secondi. Non un gioco di abbuoni. Se non è anacronistico e obsoleto, se non ce lo siamo scordato, oserei scomodare un vocabolo antico e intramontabile di questo sport, un marchio, un timbro, un sigillo: per fare grande il Giro, grande davvero, serve l'impresa.