Caro amico e direttore, ti scrivo, e scusami se ti do del "tu" dall'alto, o dal basso delle mie stagioni, sull’onda delle prime pagine dei quotidiani sportivi, che in queste giornate sono state dedicate per intero o quasi alla scomparsa dolorosa dell’ex calciatore Sinisa Mihajlovic, affetto da una leucemia. Dopo aver brevemente registrato in pagine interne, le settimane scorse, la morte tragica dell'ex ciclista Davide Rebellin, travolto da un camion.
Ti scrivo non felice, anche se nella mia città putativa - Napoli - dopo la pioggia splende il sole, per raccontarti una storia personale, che mi ha istruito a suo tempo il cuore sulla disparità della morte.
Vedi, un giorno di maggio del 1976 nella mia sala operatoria vidi assistere senza opzioni altre alla fine amara di Salvatore B., in un intervento di cardiochirurgia a cuore aperto. E nello spesso meriggio di quel 21 maggio fui testimone da lontano della tragica morte di un ragazzo in bicicletta, il ciclista Juan Manuel Santiesteban, per una caduta fatale nella tappa di Catania, al Giro d’Italia.
Quel giorno intuii e feci mia per sempre la diversità stridente della morte, da medico e pure da scrittore legato allo sport. Per una malattia oncologica, o nel corso di un intervento chirurgico, la morte ha pieno diritto di vita: nulla osta. Un giorno, allora, per un Salvatore, un giorno, ieri, per un Sinisa, un giorno come un altro per tanti nostri cari e pazienti. Ad onta della meritoria e lecita retorica sulle virtù eroiche di un uomo special one, che è poi l’uomo qualsivoglia.
Ma al contrario non è umanamente accettabile, nel progetto geometrico delle razionalità, morire come un Davide Rebellin, travolto per delitto altrui, o anche come Juan Manuel Santiesteban, caduto per destino.
Caro amico, la compagnia fida della fine immatura fa parte della malattia, e lo ha narrato molto meglio di tutti un tempo senza smancerie italiane Lance Armstrong, «voi solo dite che io sono guarito dal cancro, io mai», con o senza le carezze delle speranze e dei trionfalismi, e delle guarigioni miracolistiche, con o senza il vezzoso confidare nelle stelle. Con o senza il favore dei media e dei lustrini.
E perciò, amico mio, ben vengano le prime pagine sulla fine per malattia del popolare Mihajlovic, incluso il cordoglio di un Santo Padre troppo alto, talora, per essere comprensibile a noi minori.
Ma vi chiediamo per una pura equità di amore, sperando che non ne capiti peraltro mai più l’occasione, un rilievo identico - e non decuplicato - per la morte ennesima di un campione ciclista, di un altro samaritano della vita, che viene travolto senza riflettori in strada, e non protetto dallo scrigno dorato di uno stadio. Sia pure una pagina bianca, senza una cifra di pubblicità. Come è stato ad esempio, vita natural durante, Davide Rebellin. Come fu Michele Scarponi
Con affetto profondo, e senza certezza alcuna nel vostro domani.
Gian Paolo Porreca
Medico e scrittore