Non è il caso di usare il braccino: bisogna fare subito un monumento a Van Der Poel. Nessuna corsa a tappe oggigiorno può sognare un'apertura migliore di questa che abbiamo noi gente del Giro, neppure se ingaggia i più grandi coreografi del mondo.
Diciamoci la verità: senza di lui, senza gli Alaphilippe, i Van Aert, gli Evenepoel, i Pogacar, questa edizione in particolare si sarebbe connotata come vagamente vecchia, superata, obsoleta. Quanto meno molto tradizionale e molto convenzionale. Sempre le stesse facce, sempre gli stessi metodi, sempre gli stessi schemi.
Invece Van Der Poel c'è. E' venuto da noi e ha siringato immediatamente una dose da cavallo di quel ciclismo nuovo che abbiamo imparato a conoscere e a venerare negli ultimi tempi, il ciclismo eccentrico e disinibito, senza calcoli e senza teoremi, il ciclismo fuori dalle regole e fuori dalle righe, il ciclismo fuoco e fiamme, il ciclismo libero e giovane che scatena gli istinti migliori in ogni gara, il ciclismo due punto zero che può indurre un campione a cambiare idea improvvisamente, all'ultimo momento, decidendosi a stilare nuovi programmi e a fare la valigia per l'Italia, dove casualmente (?) il Giro propone una tappa su misura per lui, la tappa giusta per aggiungere un colore alla sua tavolozza, dopo il giallo del Tour, in attesa del multicolor iridato che prima o poi certamente prenderà.
Monumento e tante grazie a Van Der Poel, ma dopo tutto almeno un bustino in portineria a Mauro Vegni, che ha disegnato questo incipit del Giro fortemente irresistibile nelle fantasie e negli appetiti di un tipo come Van Der Poel, uguale al bisteccone sventolato sotto al naso del cane Ettore nei cartoni più divertenti di tutte le generazioni.
E' tutta una coincidenza, è solo un puro caso, si tratta di semplice fattore C.? Ci raccontiamo tra nonni e nipoti che il percorso in fondo conta poco, che la corsa la fanno i corridori. Ma non è mai così vero. Il disegnatore in realtà può usare calcolo e fantasia, riuscendo a incidere persino ancora prima di cominciare, ingolosendo qualcuno e respingendo qualcun altro. Questo è il caso, l'esempio più chiaro di come una scelta intelligente scateni l'effetto a catena di grandi spettacoli. Persino in un Giro nato con la fama dimessa del mortaccione.
Poi si sa come funziona: ci si possono inventare tutte le stramberie più geniali, si può lisciare il pelo al campione più quotato con le tentazioni più sfrenate, ma poi il destino decide che nessuno colga la palla al balzo, o che qualcuno colga, ma poi fallisca. Van Der Poel che batte tutti sull'arrivo in salita della prima tappa, Van Der Poel che difende la maglia come un forsennato per le strade di Budapest, questo è invece il film perfetto, di una regia perfetta, per una star perfetta. Ma non è (solo, tutta) fortuna: è il classico caso di una fortuna cercata.
E allora concediamolo, volentieri e doverosamente, questo bustino anche a Vegni. Se Van Der Poel gli ha acceso subito il Giro, lui ha il merito di essersela andata a cercare. E mettere l'Etna alla quarta tappa, subito dopo un giorno di riposo, ha tutta l'aria di un'altra buona idea. Molto buona.