E per fortuna che lo vedevano in difficoltà. Troppo in forma troppo presto - mi raccontavano gli espertoni occhi di lince qui in Giro -, adesso è in chiara fase calante. Prove a carico: i due metri persi (secondo me, che sono un tordo, lasciati) a Carapaz sul traguardo di Frascati, quando casualmente era l’unico dei big a scampare la mega-caduta e ad arrivare in testa.
Anche al via della cronometro, uguale il clima. Fedele interprete della corrente denigratoria, lo scrittore prestato alla Rai Fabio Genovesi: “Roglic lo vedo caratterialmente sofferente in questo Giro”.
Quindi: è fisicamente in declino, è psicologicamente fragile. Le ha addosso tutte. Un mezzo rottame.
A dimostrazione di queste evidenze, il risultato inevitabile: Roglic stravince la cronometro della Romagna bagnata, suonando come una zampogna il gemello Yates e rifilando comunque il minuto tondo tondo al grandissimo Nibali (che il Cielo ce lo conservi per altri cinquant’anni).
Io, che resto sempre tordo, a questo punto chiedo: cos’altro deve ancora inventarsi questo poveraccio di Slovenia per convincerci che è a pieno titolo un autorevole, insidioso, fortissimo pretendente alla vittoria finale?
I denigratori si portano avanti anche sul futuro: nella terza settimana salta. Vince le corse a tappe brevi, ma sulla tenuta a lunga gittata permane un grosso punto di domanda. E pazienza se soltanto l’anno scorso è comunque arrivato quarto al Tour, non proprio la sagra del pistacchio.
Niente da fare: Roglic continua la sua corsa rosa sotto le nubi del diluvio primaverile, come tutti noi, ma ne ha sopra anche una tutta sua, la nube della diffidenza.
E dire che nella tradizione del ciclismo solitamente basta molto meno per parlare di autentici fenomeni: una volata a Larciano o a Laigueglia basta e avanza. Per Roglic invece non vale. Non ce lo vedono proprio, sul piedestallo del campione. Capaci che pure domani, nel giorno di riposo, lo vedano in difficoltà, anche solo nel cambio biancheria.
Va bene, se è proprio così, come assicurano gli espertoni occhi di lince, il Giro è di fatto già chiuso. Trionfo facile di Nibali. In scioltezza, con la gamba sinistra, fumandosi un sigaro sul Mortirolo. Roglic da qui in avanti non farà che perdere, perdere, perdere, vittima del suo declino fisico e della sua fragilità nervosa.
Per quanto mi riguarda, non mi fido proprio per niente. Continuo a scoprire sempre di più un campione nel suo stadio di affermazione definitiva, fortissimo a cronometro, accorto in gruppo, intelligente nelle situazioni scabrose. Ci aggiungo che ha una squadra molto attrezzata (virus permettendo). E ci aggiungo che comunque, in caso di testa a testa, avrà a disposizione anche la crono di chiusura, sulle strade di Verona. Un’altra briscola per il signore degli specialisti.
Tanto mi basta per dire che in ogni caso il Giro si conferma ancora una volta la più grande e la più bella fabbrica di campioni. Un campionificio. Qui, più che al Tour, si scodellano talenti e si consegnano all’elite mondiale. Per restare agli ultimi tempi, ricordo Quintana, ricordo Dumoulin. Magari Roglic salterà come un petardo e io chiederò scusa agli espertoni occhi di lince, ma al momento non ci conto proprio. Neppure se fossi in Nibali, ci conterei tanto. Sono sicuro che difatti non ci conterà per niente. Non è tordo.