Giancarlo Ceruti: le tre lauree e quelle tre ore con Pantani
PROFESSIONISTI | 16/06/2014 | 10:57 Dal 1997 al 2005 ha guidato la Federciclismo. Ha vissuto in prima persona l’ascesa e il declino di Marco Pantani, l’oro olimpico di Bettini ad Atene 2004 e tanti altri momenti di gloria. Giancarlo Ceruti, cremasco di Pianengo, vent’anni nella Fiom di Cremona dal 1976, oggi si gode la sua pensione. Abbronzato, venti chili in meno rispetto agli anni ruggenti, passa molte ore tra bici e varie attività sportive. Nel frattempo si è preso tre lauree. Il sorriso e la voce profonda sono rimaste le stesse di una volta, la stretta di mano è sempre potente.
Oggi Ceruti guarda da lontano quel che accade nel suo mondo, quel ciclismo che lo ha visto a lungo protagonista e che oggi, sia pur a distanza, gli riconosce anche i meriti del lavoro svolto. Martedì sera, dopo la presentazione al centro Stradivari del libro dell’amico Roberto Vergine, è passato in redazione (con Fulvio Feraboli e Corrado Lodi) a salutare alcuni amici. E ha raccontato un po’ di sè, con la semplicità e l’umiltà che sempre accompagnano i campioni, quelli veri.
Ceruti, che cosa sta facendo in questo periodo? «Sport. Vado in bici. Faccio 90 chilometri al giorno, un po’ di nuoto. Prima guardavo gli altri, adesso mi diverto io. E studio».
Studia? «Sì, in questi anni mi sono laureato tre volte: in filosofia, in scienze politiche e in scienze antropologiche».
Come ha fatto? «Mi sono isolato da tutto e da tutti. Mi sono rimesso sui libri. L’università mi ha passato alcuni esami che avevo dato anni fa. E poi ho studiato e studiato».
Lei oggi ha 61 anni. Che rapporto ha avuto con studenti e insegnanti? «Ho sempre considerato i ragazzi alla pari. Io ero più vecchio di loro. Ma pian piano ho avuto un buon rapporto, senza invadere il loro campo. Con gli insegnanti, a seconda dei casi. C’è chi ti tratta bene, incuriosito dalla tua scelta. Chi invece ti prende male, magari pensa: cosa vuole questo qui? Ma alla fine direi che è andata bene».
Una bella soddisfazione. «Molto grande. Ho imparato tanto. E l’ho fatto per me. In qualche occasione sono stato chiamato anche in cattedra, a parlare della mia esperienza».
Lei è stato un grande presidente della Federciclismo, per due mandati (battendo una volta anche un certo Francesco Moser). E adesso? «Ho chiuso col ciclismo. Stop».
Il suo amico Fulvio Feraboli sostiene però che se si vuol sapere qualcosa sul ciclismo bisogna chiederlo a Ceruti, che sa ancora tutto».
«Esagera».
Però su internet ci sono spifferi di un suo possibile ritorno sulla scena. «No, no, non sto cercando niente».
Lei era già presidente da due anni quel giorno del 1999 quando fermarono Pantani a Madonna di Campiglio. Una giornata che ha segnato la storia del ciclismo e anche la sua.
«E’ una vicenda nota. Ci fu un controllo, i valori di ematocrito di Marco erano oltre il 50%. E venne fermato. Da lì in avanti la vicenda è diventata più di cronaca che di sport».
La madre di Pantani, però, nel suo recente libro parla di situazione poco chiara. «Premessa: quando un corridore veniva fermato, aveva quindici giorni per rientrare nei parametri. In tal caso, gli veniva restituito il tesserino, cioè poteva tornare in gara».
Cosa accadde allora? «Venti giorno dopo, una sera, ricevo sul mio telefono una chiamata. Era Marco Pantani. Ci siamo parlati per quasi un’ora. Gli argomenti erano tanti. Meglio incontrarci di persona, gli dissi a un certo punto».
Dove avvenne l’incontro? «Sono andato a casa sua, a Cesenatico. Con me c’era anche il vice presidente della Fci. C’erano anche i suoi familiari».
Che cosa vi siete detti? «Abbiamo parlato per tre ore. Alla fine, quando siamo usciti, abbiamo capito che non c’era niente da fare. Basta, mi fermo qui».
C’è stata una importante evoluzione nei controlli, ma al tempo stesso anche nel doping. Che cosa è cambiato? «Oggi si utilizzano metodi sofisticati. L’assunzione avviene settimane prima delle gare. Quando c’è la corsa l’atleta ha più forza, ma le sostanze non sono più rilevabili dai controlli. Un effetto che dura alcune settimane. Poi, c’è bisogno di nuova ‘ca- rica’».
Lei ha vissuto anche ai vertici del Coni, al fianco di Petrucci. «Petrucci era uno molto preparato, anche molto cattolico. Però mi diceva sempre una cosa: guarda che io ti voglio bene, ma se capita che devo decidere se salvare te o me, io salvo me. Più chiaro di così».
Dopo aver maturato una esperienza così importante, come si fa a stare ai margini così a lungo? «Si fa, si fa, basta avere il coraggio di fare certe scelte. Quando ero ai vertici del ciclismo il telefono suonava ogni minuto. Adesso, quasi mai. All’inizio è dura da accettare, ma devi fare una scelta».
Per 20 anni, dal 1976 al 1996 è stato nella segreteria Fiom, a Cremona ha trattato con tutte le più grandi aziende del settore. Cosa le ha dato questa attività? «Sono stati momenti di grande formazione. E poi, diciamo una cosa: si poteva vivere e fare le cose come andavano fatte. C’era anche un po’ di inconsapevole follia, ma alla fine i risultati c’erano».
Un altro mondo. «Sì, di cui porto con me anche il ricordo di tanti amici con cui ho condiviso quei momenti».
Sindacalista, dirigente sportivo ai massimi livelli nazionali, un carica inesauribile. «Tutti noi nella vita facciamo tante cose. Ma io ad un certo punto ho chiuso. Per me l’importante è guardare avanti, senza ripiegarsi su se stessi. Anche per questo studiare mi è servito molto».
CHI È GIANCARLO CERUTI
Gian Carlo Ceruti, laureato in Scienze Antropologiche ed Etnologiche, in Filosofia e in Scienze Politiche, è stato dirigente della Federazione Ciclistica Italiana in qualità di Presidente Nazionale per due mandati dal 1997 al 2005. È stato inoltre componente del Consiglio nazionale Coni e della Commissione mondiale per la Lotta al doping dell’Unione ciclistica internazionale (Uci), e Consigliere nazionale dell’Istituto del credito sportivo. Negli anni ‘80 e ‘90 ha collaborato anche con le principali riviste sportive, oltre che col settimane Mondo Padano dove si occupava di ciclismo e di Pergocrema. Lo scorso anno ha pubblicato il libro Il ciclismo dalla Sicilia alla Toscana. L’idea di realizzare il libro è nata grazie alle attente e meticolose ricerche etnografiche svolte dallo stesso Ceruti tra la Sicilia e la Toscana. L’opera, infatti, affronta con particolare attenzione antropologica i problemi dei corridori e delle loro famiglie che dalla Sicilia si sono spostate in Toscana. Ha sempre avuto una particolare attenzione anche al ciclismo giovanile e ha partecipato alle premiazioni di molte manifestazione ciclistiche anche a Cremona e in provincia.
Da La Provincia di giovedì 12 giugno 2014 a firma Felice Staboli
"Quando siamo usciti abbiamo capito che non c'era più niente da fare...basta, mi fermo qui..." Una frase ambigua, non dice niente. A 15 anni.da campiglio e 10 dalla morte, qualcosa in più lo poteva dire...tanto ormai su Pantani si è detto di tutto
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