NIBALI. «Rivoglio un anno da Oscar»

PROFESSIONISTI | 02/01/2014 | 09:41
È uno che conta, Vincenzo Nibali. Conta nel mondo del ciclismo, per le sue vittorie e per le sue grandi prestazioni. Conta perché per noi italiani se non è tutto è moltissimo: e meno male che c’è lui, perché altrimenti saremmo davvero alla periferia del ciclismo mondiale, in attesa di tornare al centro, con qualche giovane talento che ha bisogno di crescere senza assilli e pressioni. 
Conta, Vincenzo Nibali: conta i giorni che lo separano dalla nascita della sua bimba. Conta i giorni che lo dividono dall’inizio di una nuova stagione. Con­ta le vittorie, i piazzamenti, i punti che non gli tornano, perché per l’UCI Vin­cenzo è il numero cinque del mondo, ma lo sanno tutti che lo «squalo dello stretto», con quello che ha fatto vedere e ha raccolto quest’anno, è chiaramente il numero uno e, nella peggiore delle ipotesi, appena dietro a Chris Froome. 
Conta gli Oscar tuttoBICI, che ora so­no quattro: uno da juniores e tre da professionista. Conta di rivincerne un altro il prossimo anno «perché se lo vinco significa che sono stato ancora il migliore e a me piace sempre essere davanti a tutti», dice lui che ora conta anche i passi che compie in una giornata e valuta e pesa la qualità del suo son­no per capire come sarà il suo stato di veglia.

«Ho scoperto quasi per caso l’ “UP” di Jawbone - ci racconta nella sua casa di Viganello, alle porte di Lugano, dove da quasi due anni vive con Rachele, sua moglie -. È un braccialetto dotato di app per iPhone, iPad o iPod touch che tiene traccia di come dormi, di co­me ti muovi e di cosa mangi, consentendoti di avere maggiori informazioni sulle tue abitudini quotidiane e di mi­gliorare il tuo stato di benessere. Con il bracciale “UP”, puoi avere un quadro completo delle tua giornata e misurare con esattezza le tue attività quotidiane. “UP” registra i passi, la distanza, le ca­lorie bruciate, i tempi di attività e quelli di inattività. A me piace molto, so­prattutto per controllare la qualità del mio sonno, del mio riposo: mi affascina vedere quanto ci impiego a prendere sonno, quanto riesco a dormire profondamente e soprattutto capire la qualità del mio riposo. Per un atleta tutto questo è molto importante».

Ma tu non hai mai avuto problemi di sonno, tanto è vero che sono in molti a ritenere che la tua forza stia proprio nel fatto che sei estremamente tranquillo, sereno, fino a pochi minuti dal via di una competizione anche importante come la crono di un Grande Giro…
«È vero. È tutto vero, io difficilmente mi faccio travolgere dall’ansia. Pri­ma di un grande evento sono talmente tranquillo che spesso schiaccio un pisolino, ma in ogni caso questo è uno strumento tutto da scoprire».

Tutta da scoprire sarà anche la tua nuova stagione, anche se è appena andata in ar­chi­vio quella 2013…
«Cosa vuoi che ti dica? sono contento. Sono contento dei risultati raccolti, del­la mia continuità, del mio modo di af­frontare ogni corsa, sono contento di vivere un Natale di avvento e io e Ra­chele non vediamo l’ora di stringere tra le nostre braccia la bimba».

È stato un anno assolutamente a tinte rosa…
«E comunque vada lo sarà anche il prossimo, perché per me e Rachele inizierà una nuova fase della vita…».

Rosa era anche piazza della Loggia, a Bre­scia, il 26 maggio scorso…
«Un’emozione incredibile, che sognavo e cercavo di immaginare, ma poi come spesso accade la realtà è ben diversa e la sorpresa e le emozioni che ho provato quel giorno sono state di gran lunga più belle e più profonde di quanto io avessi immaginato».

La foto della tua stagione è quella piazza?
«Penso proprio di sì. Anzi, ti dico che quello è il punto più alto della mia carriera: non ci sono dubbi. Ma del mio 2013 voglio ricordare anche la vittoria sotto la neve alle Tre Cime di Lavare­do. Ma anche la Tirreno-Adria­tico e il Trentino. E nonostante quello che mol­ti possono pensare, io mi tengo stretto anche il secondo posto alla Vuelta, alle spalle di Horner, e persino la sfortuna mondiale che mi è valsa il quarto po­sto a Firenze».

Insomma, conti tutto?
«Certo. Ho centrato sei vittorie, con il Giro d’Italia a risplendere. Ma ad arricchire le vittorie c’è anche un contorno che non è semplice massa. Sono finito 33 volte nei primi dieci in 83 giorni di corsa, distribuiti in otto mesi e mezzo di stagione, sei e mezzo se si tiene con­to del break estivo tra Giro d’Italia e Polonia. Se vuoi che te la dica tutta, io vado anche fiero del ko alla Mi­lano-Sanremo. Sono un tipo tosto, ma anche vulnerabile. Non sono un superuomo, ma un atleta che può fare cose super».

Per il secondo anno consecutivo e per la quarta volta in carriera sei l’Oscar di tuttoBICI, ma quanto ti rode non essere il numero uno del mondo?
«Guarda, io sono uno al quale rode piazzarsi, ma ho anche un approccio molto sereno con le cose. Quando perdo mi dà maledettamente fastidio, ma mi dura pochissimo: penso subito al giorno dopo, alla corsa successiva per rifarmi. Per rimettere subito le cose a posto. Una cosa è certa, io penso che l’Uci debba rivedere il sistema di assegnazione dei punti, con quello che ho raccolto quest’anno non pos­so essere il numero cinque del mondo. Questo lo sa anche chi mi ha preceduto». 

Che effetto ti fa essere il punto di riferimento per tanti ragazzini?
«Penso a quando io sognavo ad occhi aperti le imprese di Francesco Moser: è bello diventare modello, ma un pochino mi imbarazza».

Cosa ti sentiresti di dire a quelli che so­gnano di diventare un giorno i nuovi Ni­bali?
«Di non avere fretta. Di non ascoltare chi ti adula. Di non considerarsi mai un padreterno, ma nemmeno un corridorino. Di scegliersi le amicizie giuste e, soprattutto, una squadra dove poter crescere be­ne senza l’assillo della vittoria a tutti i costi. Parlo sia per la ca­tegoria allievi e juniores, ma anche per gli under 23 e il professionismo. Poi contano le doti naturali, ma anche le capacità di fare sacrifici enormi e in modo costante».

Ci vuole un gran carattere. 
«Non puoi andare alla corse convinto di essere il più forte, ma nemmeno di essere uno dei tanti. Io nel mio piccolo ho sempre avuto una buona dose di autostima».

Tu sembri sempre lo stesso, nonostante la tua vita sia radicalmente cambiata…
«Io sono quello che sono, non mi è mai piaciuto ostentare o fare il fenomeno. Ho sempre pensato che il fenomeno devi cercare di farlo in bicicletta, poi devi anche condividere con chi ti sta at­torno quello che raccogli».

I tuoi compagni di squadra ti adorano e dal prossimo anno ci sarà anche Mi­chele Scarponi…
«L’Astana ha creduto in me prima ancora che arrivassi. Scarponi è un grandissimo scalatore: sono felice che sia approdato nel mio team».

In discesa sei un ma­ghetto, in salita pochi possono dire di es­sere meglio di te. Nelle crono sei mi­glio­rato tantissimo: dove devi an­cora fare un sal­to di qualità?
«Potrei dirti che mi piacerebbe migliorare ulteriormente in tutto, ma io ho sempre digerito poco gli scatti ripetuti in sa­lita. Con allenamenti specifici sono migliorato molto, ma all’ultima Vuelta ho capito che devo crescere ancora un po’».

Giro o Tour?
«Il Tour è il punto fermo: vo­­glio pro­vare a giocarmelo. Il Giro però è molto bello e non è det­to che non si possa pro­gram­­mare en­trambe le corse. Il mio capo, Vinokou­rov, da me vuole un grande Tour. Beppe (Martinelli, ndr), pensa che il Giro non mi farebbe male, anzi. Ci rifletteremo bene tutti assieme».

Il primo Tour nel 2008: diciannovesimo in classifica generale. Il secondo nel 2009: settimo. Il terzo nel 2012: terzo. Un gran bel ruolino di marcia…
«Ma è come nella F.1 o nello sci, ad un certo punto per limare pochi decimi di secondo sembra facile, ma non lo è affatto».

Come quest’anno, la stagione 2014 ripartirà dal Tour di San Luis.
«È una bella corsa, perfetta per ricominciare a pedalare. Poi la prima parte di stagione passerà da Tirreno, San­re­mo, Paesi Baschi, Amstel, Freccia e Liegi…».

Parliamo un po’ anche degli altri: ma tu sei proprio convinto di poter battere Froome al Tour…
«Non è assolutamente fa­cile, ma si può fare. Certo che a cronometro fa pau­ra e in salita con quelle sue ac­celerazioni è semplicemente pazzesco, ma nello sport nulla è scritto in partenza».

Quali giovani ti piacciono?
«Vedo molto bene Die­go Ulissi, ha fatto un finale di stagione de­gno di nota e ha tutto per poter di­ventare un grande corridore: più per le corse di un giorno, secondo me. An­che Moreno Mo­ser va aspettato: è molto giovane, e il secondo anno da pro e sempre più difficile del pri­mo. Pensi sempre che ormai è fatta, la strada è in discesa e, invece, non è assolutamente così. I problemi avuti quest’anno lo fa­ranno maturare e ve­dremo tutti il talento di questo ra­gazzo. E poi c’è il mio Fabio Aru: bra­vo, mo­de­sto e tosto. Io mi rivedo mol­to in lui. E lo stesso potrei dire anche di un ragazzo che ho intravisto come stagiaire: Davide Villella. Molto interessante».

Quanto ti piace andare in bicicletta?...
«Un mondo. Rachele quando mi ve­de tornare dall’allenamento me lo dice sempre che ho il volto di chi è felice».

Rachele dice anche che sei competitivo su tutto: vuoi vincere anche a carte…
«È vero. Io non guardo mai che tipo di gara è, mi basta mettere il numero sulla schiena. Se sono in corsa, io voglio dare sempre il massimo. Se in una fuga ci sono Rodriguez o Con­tador, con loro ci voglio essere anch’io. Io sono competitivo, sem­pre. Anche quando gioco a Monopoli…».

È vero che hai sgridato Rachele perché aveva ceduto delle proprietà a Valerio (Agnoli, ndr)?...
«Ma chi te la detto?...».

Indovina…
«Beh, sì, me la sono presa ma poco…».

Cambiamo discorso: cosa pensi di Ro­driguez e Contador…
«Purito è un grande corridore: tosto e tenace. In questi ultimi tre anni è stato campione di regolarità e merita tutto il bene che ha perché è una persona squisita. Alberto sono convinto che tornerà ad essere quello che era: un osso duro da battere in tutti i Grandi Giri».

E di Valverde?
«Come corridore non si discute, ma la volata al mondiale di Firenze dove mi ha tagliato platealmente la strada, non mi è andata giù neanche un po’. Con me ha chiuso».

Quando hai aperto invece il cuore a Ra­chele?
«Nel novembre del 2010: due giorni dopo il mio compleanno».

Quando hai saputo che saresti diventato papà?
«Il 21 giugno: una gioia immensa».

Quanto ti ha bruciato perdere la Vuelta da Horner, uno di 42 anni?
«Mi avrebbe fatto meno male perdere da Rodriguez. In ogni caso ha vinto bene, non ha rubato nulla. Io non ave­vo la condizione del Giro. Solo in due momenti mi sono davvero sentito bene bene: sull’Angliru e a la Collada de la Gallina».

Hai più ripensato al Mondiale di Fi­renze?
«No, quando io chiudo una pratica la chiudo: perché stare lì a tormentarsi? Sono stato molto sfortunato. Quella caduta mi ha condizionato non poco, ma sono contento di come ho reagito e di come ha corso la squadra».

Gilbert tornerà ad essere quello di prima?
«È due anni che fa fatica: non so proprio cosa gli sia successo, ma la classe non si perde».

Quintana vincerà un giorno il Tour?
«Intanto se verrà a correre il Giro è uno dei grandi favoriti. In salita sono pochi i corridori che vanno più forte di lui».

Da Wiggins a Froome. Da Froome a Ri­chie Porte…
«Froome sta correndo a grandissimi li­velli da due anni e vedrete che anche il prossimo anno sarà l’uomo da battere. Richie Porte dovrà invece portare un po’ di pazienza, ma arriverà anche il suo momento».

Un regalo che ti sei fatto dopo il Giro…
«Una Nikon d 7100: sai che tra le mie passioni, oltre al modellismo, c’è la fotografia».

Un giorno ti faremo fare un servizio fotografico: magari per il prossimo Oscar tuttoBICI…
«Bella idea, ci conto».

di Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di dicembre
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