VEGNI. «Il Giro piace all'estero, ma è nel cuore dell'Italia»

PROFESSIONISTI | 29/12/2013 | 09:36
Il Giro d’Italia piace, piace sempre di più, piace tanto soprattutto all’estero ma la corsa rosa, come da tradizione, non perde di vista il contatto con il territorio italiano e la sua gente.
È questa l’estrema sintesi di una grande serata di ciclismo: a Pieve di Soligo, il 15 novembre scorso, si è parlato di Giro d’Italia con il direttore della corsa rosa, Mauro Vegni, che ha risposto alle domande di una platea attenta e numerosa, che ha letteralmente riempito l’Auditorium della Biblioteca Civica per l’annuale convegno organizzato dal nostro mensile in collaborazione con il Gruppo Euromobil e La Gazzetta dello Sport.
Incalzato dalle domande del capo della redazione ciclismo de La Gazzetta dello Sport Luca Gialanella e del nostro direttore Pier Augusto Stagi, nei panni di inviato tra il pubblico, Vegni ha ripercorso la sua carriera, ri­velato il dietro le quinte del suo lavoro, scherzato con gli organizzatori della zona, confidato i suoi progetti e sogni per le prossime edizioni.

INIZI. Galeotto fu il pianerottolo. Ave­va solo cinque anni, Mauro Vegni, quando da Cetona (in provincia di Sie­na, dov’è nato il 7 febbraio del ’59) andò ad abitare a Roma. In quel palazzo romano, il dirimpettaio della famiglia Vegni era Franco Mealli. «Per Meal­li sono stato il figlio maschio che non ha mai avuto, ho iniziato molto presto a seguirlo alle corse, avrò avuto tredici-quattordici anni. Dal ’75 in poi ho vissuto l’attività del Velo Club For­ze Sportive Ro­mane in pri­ma persona, a volte an­che bigiando la scuola. E dopo il di­ploma ho iniziato a lavorare con Mealli a tem­po pieno, im­parando da lui ad occuparmi di tut­to: della par­te organizzativa vera e propria di una manifestazione all’impostazione e allo studio progettuale della stessa e ancora ai rapporti con i fornitori e con i collaboratori. In particolare negli ultimi anni, quando Franco cominciava ad accusare qualche problema di salute, seguivo tutto in prima persona, soprattutto la Tirreno-Adriatico e il Giro del Lazio, le sue creature più belle e più amate. Franco era un uomo di pro­fonda umanità e di forti principi morali e grazie a lui, e a quello che mi ha insegnato, ho avuto l’occasione di vivere esperienze importanti anche a livello personale, come l’essere direttore generale dei Mondiali di Sicilia 1994. Nel ’95, poi, sono stato direttore generale dei campionati mondiali juniores di San Marino e nello stesso anno giunsi a Milano, su proposta del dottor Ca­venaghi, che allora era amministratore delegato della RCS. La mia avventura al Giro è iniziata nel ’94. Franco mi ha svezzato e mi ha insegnato questo mestiere, lo ri­corderò sempre per le sue capacità tecniche e umane fuori dal comune».

PATRON. Come è cambiato il lavoro dell’organizzatore del Giro d’Italia? 
«Se un tempo bastava andare in strada e attaccare uno striscione con scritto “arrivo”, ora bisogna chiedere permessi a co­muni, province, regioni, inviare il piano dettagliato delle strutture che si monteranno e svolgere altre mille pratiche burocratiche». 
Ha ancora senso parlare di pa­tron? 
«A mio avviso è una figura ormai anacronistica, si lavora in squadra all’interno di un’azienda: avere al mio fianco ex corridori, che magari han­no avuto anche esperienze come ma­nager, aiuta tanto. Io ho la fortuna di poter contare su dei ragazzi fantastici: insieme siamo riusciti a superare alla grande un’edizione del Giro difficilissima come quella del 2013. La giornata peggiore? Quella del Galibier, perché eravamo in territorio straniero e perché partivamo senza sapere dove saremmo arrivati. Il Moncenisio non era percorribile fino a un’ora prima del passaggio del gruppo. In quel caso ab­biamo rischiato molto. Guardandomi indietro sono felice di avercela fatta, ma spero davvero non mi ricapiti mai più di dover affrontare una situazione del genere». 
E a proposito di squadra: «Ho dei collaboratori di cui vado orgoglioso e so­no affiancato da ragazzi giovani in cui credo molto. Uno dei problemi del ci­clismo è che dà poco spazio ai giovani e forse non riesce ad affascinare le nuo­ve generazioni. Il mio più grande obiettivo è lasciare il Giro in eredità ai ra­gazzi con cui lavoro, insegnare loro quello che ho imparato in questi anni perché possano portare avanti questo patrimonio».

STORIA. È risaputo, il Giro non è so­lo una corsa di ciclismo, ma molto di più. Ha a che fare con la cultura, la storia, la valorizzazione del territorio e molto altro. Nasce in Piazzale Loreto nel 1909 alle 2 del mattino e da allora in poi ha avuto come protagonisti grandi uomini. Dagli inizi a oggi, nell’era di internet e dei social network, è fruibile globalmente senza che sia venuto meno il suo valore locale. «Il Giro ha unito l’Italia più di Garibaldi, divenendo la rappresentazione dell’eccellenza del nostro paese. Oggi non possiamo più pensare a un semplice prodotto locale, ma ad un avvenimento internazionale che oltre ad essere vissuto in strada può essere seguito tramite i media più moderni». 

EMOZIONI. La più grande emozione legata al Giro? 
«Ho tantissimi ricordi speciali riguardanti la corsa rosa, ma l’emozione più grande di tutte l’ho provata uscendo per la prima volta dalle tre gallerie dello Zon­colan, trovandomi di fronte un vero e proprio stadio umano. In quell’occasione ho av­vertito come un ab­brac­cio del pae­se al suo patrimonio più bello. Un ricordo indelebile». 
Ha un campione del cuore? 
«Non ho mai fatto il tifo per un corridore in particolare, ma come stile in bici mi piaceva molto Michele Bar­toli. E poi chi è che non si è emozionato guardando le imprese di Pan­tani? L’an­no prossimo in occasione del de­cennale della sua scomparsa lo ri­corderemo al me­glio. La partenza della nona frazione del 2014, ora posso dirlo, avrebbe dovuto essere a Cese­natico. A causa della concomitanza con la Nove Colli, l’abbiamo spostata a Lugo per non far coincidere i due eventi che radunano tantissime persone».

PUNTINE. Quando nasce il Giro? 
«Due anni prima di quando viene effettivamente disputato». 
Nell’ufficio di RCS Sport c’è una grande cartina dell’Italia con conficcate delle puntine colorate che indicano le città che richiedono la partenza o l’arrivo di una tappa, rivela Luca Gialanella. 
«A volte ne aggiungo alcune per confonderti le idee e non svelare il Giro fino a che non è pronto» scherza Vegni. 
«Quante proposte di tappa ho nel cassetto? Siamo già alle prenotazioni per il 2018... e più di un centinaio sono quelle già sul tavolo per il triennio 2015-2017. Nel 2017 celebreremo l’edizione numero 100 e sicuramente la partenza avverrà dall’Italia. Le proposte più interessanti? Ho molti amici che ne avanzano di bellissime, se proprio devo fare un nome c’è un friulano, alpino, che ci ha fatto scoprire una montagna diventata mitica come lo Zoncolan... si chiama Enzo Cainero».

GIRO 2014. Dal 9 maggio al 1° giugno, da Belfast a Trieste per un totale di 3.449,9 km. «Lo abbiamo voluto più umano e con la massima attenzione ri­volta ai corridori che sono i veri attori di questo show rosa. Forse negli anni scorsi abbiamo cercato troppo l’estremo, ma la realtà è che 21 giorni di cor­sa bastano da soli a garantire lo spettacolo. L’idea cardine del Giro che progetto sta nel far emergere il migliore, evitando esagerazioni». 

ESTERO. Il Giro riscuote sempre più attenzione nei paesi stranieri e valica con sempre maggiore facilità i confini italiani. 
«All’estero è impressionante la voglia di Giro che c’è, forse perché ci sono più soldi: a inizio novembre sono stato nel Montenegro (che nel 2016 festeggerà l’anniversario della sua indipendenza dalla Serbia, ndr), ho parlato con alcuni esponenti del governo che vogliono promuovere il loro territorio da noi poco considerato e per questo stanno valutando di investire sulla cor­sa rosa. Lo stesso vale per Vienna, per la Svezia... Personalmente per il futuro mi affascina molto l’opzione New York. Anche se è di difficile realizzazione, cercheremo di battere i francesi sul tempo».

TAPPE. Sono tante le città interessate alla grande partenza del Giro, che nel 2015, come nel 2017, quasi sicuramente avverrà dall’Italia. 
«La vogliono tutti, anche se prevede aspetti economici importanti. Milano, Venezia, To­rino sono tra le candidate italiane» conferma Vegni, che a proposito del gran finale 2015, nonostante il volano dell’Expo, ribadisce che non è assolutamente sicuro che la maglia rosa verrà assegnata a Milano. 

SONNO. Anche durante le tre settimane del Giro, Mauro Vegni dorme sereno. «Il grosso del lavoro viene svolto prima del via, strada facendo qualche grattacapo posso averlo come è successo l’anno scorso a causa dei problemi climatici che abbiamo dovuto affrontare, ma io in linea di massima dormo come un sasso. Allocchio mi de­ve chiamare ogni mattina per andare a colazione, altrimenti resterei a letto!».

SOGNO. «Ne ho uno, ma è in fase embrionale, si tratta di un progetto am­bizioso mai valutato all’interno di un grande Giro, sto studiando come realizzarlo. Potremmo presentarlo nel giro di 3/4 anni, è un’idea che riguarda le isole... La Sardegna in particolare, che per motivi logistici spesso non è raggiunta dal ciclismo che conta. Non sto costruendo il ponte, ma qualche idea ce l’ho... E anche riproporre una bella tappa a Venezia non mi dispiacerebbe».

PLATEA. In sala, tra gli altri, ad ascoltare curiosi e divertiti le parole del direttore del Giro d’Italia c’erano gli organizzatori delle tappe venete e friulane, Moreno Argentin, Cristian Sal­vato, Gianni Faresin, l’allenatore di calcio e grande appassionato di ciclismo Edy Reja, che ha scherzato con Vegni sulla rivalità tra Roma e Lazio e poi ha affermato: «non so se torno ad allenare, ma di sicuro torno in bici, anche se cado spesso». Last but not least da citare la presenza di Giuseppe Figini, me­moria storica del Giro d’Italia, e dei ragazzi della Zalf Euromobil Fior.

FRIULI. Enzo Cainero spiega: «Si è parlato tanto del Crostis, ma lo Zon­colan è stato la scoperta più grande del­la mia carriera. Avrei voluto proporre per il 2014 la sua doppia scalata, ma Mauro mi ha convinto che sarebbe stato troppo duro. Progetti? Tan­tis­simi, andiamo ben oltre il 2018 ma per il momento non posso rivelarvi nulla».

VICENZA. Moreno Nicoletti e Clau­dio Pasqualin ricordano la tappa del 2013 e guardano al prossimo futuro: «Quella di quest’anno è stata una bellissima tappa, resa emozionante dallo scatto di Visconti sulla salita degli ulivi, un autentico capolavoro. Per il 2015 ci piacerebbe arrivare al Monte Berico, abbiamo trovato uno spunto particolare per rendere la frazione che avevamo in mente più dura e affascinante».

BELLUNO. Renzo Minella riflette sul ritorno di immagine garantito dal Giro al territorio coinvolto dall’organizzazione di ogni tappa: «lo dimostra la tan­ta gente che troviamo a pedalare sui passi meno noti delle nostre zone, fatti conoscere dalla corsa rosa». Gli fa eco Walter Brunello, organizzatore della tappa di Cima Grappa, che ribadisce quanto incredibile sia la vetrina che il Giro offre ai paesi attraversati dalla corsa. «Gli abitanti dei paesi toccati dal Giro devono cogliere al meglio questa grande opportunità». 

EUROMOBIL. Sotto l’occhio vigile di Vegni i fratelli Antonio, Giancarlo, Fiorenzo e Gaspare Lucchetta hanno dato appuntamento al convegno dell’anno prossimo nella loro veste di padroni di casa, unitamente al sindaco di Pieve di Soligo Fabio Sforza che ha ringraziato i presenti per la calorosa partecipazione. Per finire la famiglia Lucchetta ha consegnato a Davide Villella l’Oscar tuttoBICI Gran Premio Euromobil quale miglior Under 23 della stagione e la cucina in palio con questo titolo. Con l’augurio sincero, per il corridore bergamasco, di poter essere al via, nel 2014, del suo primo Giro d’Italia.

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di dicembre
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