
La corsa dei sette strappi stavolta ne avrà otto. Come se sette non fossero abbastanza per marmorizzare le gambe e cancellare il fiato ai corridori. Ma come la Parigi-Roubaix cerca altro pavè e la Strade Bianche esplora altro sterrato, così la Coppa caduti di Reda, ribattezzata la corsa dei sette strappi, ha trovato e aggiunto un’altra pugnalata.
Domenica 6 aprile si corre l’edizione numero 49 della Coppa caduti di Reda, valida anche come Memorial Cornacchia Stefano, come Giro della Romagna e come Trofeo Il Cappello d’Oro, riservata ai dilettanti under 23 elite. Una corsa così bella da valerne quattro. La partenza alle 13, un percorso di 155,9 km e un dislivello di quasi 1900 metri, e dopo la prima quarantina di chilometri piatti, si comincia con un’altimetria da elettrocardiogramma sotto sforzo. Sotto sforzo saranno i 200 corridori impegnati in questa classica della categoria, in una terra che sa di passione, tradizione e avventura, la commedia umana del ciclismo.
Sono le strade di Vito Ortelli, che le prime dodici corse disputate da allievo collezionò dodici secondi posti, ma alla tredicesima finalmente vinse, e avrebbe vinto tanto, anche contro Bartali e Coppi, e a Faenza aveva una bottega sacra come una chiesa. Sono le strade di Aldo Ronconi, che cominciò a pedalare per andare a lavorare da falegname, che al suo primo Giro d’Italia fu battezzato “è paruch”, il parroco, e quel soprannome gli sarebbe rimasto tutta la vita, e anche lui aveva una bottega dove, entrando, sarebbe stato opportuno farsi il segno della croce. Sono le strade di Giuseppe Minardi, lui veniva chiamato Pipaza, cioè Pippo, cui Coppi, che nella vita aveva vinto tutto, confessò di invidiargli una vittoria, una tappa al Giro d’Italia del 1953, la Napoli-Roma, l’arrivo all’Olimpico il 17 maggio, giorno dell’inaugurazione, ottantamila spettatori non solo per il Giro ma anche (soprattutto) per Italia-Ungheria di calcio (0-3). Sono le strade anche di Renato Laghi, professione gregario, di quelli da tiro, da fatica, da montagna, che un giorno, il 9 giugno 1977, al Giro d’Italia ebbe via libera e s’inventò una vittoria così sudata, così sofferta, ma così bella da riempirgli l’esistenza.
Monte Carla (tre volte), Monticino, Vernelli, Cima Rio Chiè, Cima Agello e Biagio Antico: il ciclismo si esalta quando la strada decolla e poi precipita, quando la gente custodisce il suo patrimonio storico e geografico, quando a vincere non è un solo corridore ma l’intera corsa.
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