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La seconda vita di Ardelio fu un firmamento di vittorie: nel 1952 ne collezionò 17, nel 1954 con 22 stabilì il record di successi per un dilettante italiano (eguagliato da Meo Venturelli nel 1959 e superato dallo stesso Livio nel 1960 con 23), nel 1955 conquistò il Giro dell’Umbria, quattro tappe in tre giorni, e dal 1956 si dedicò, sempre pedalando, anche al fratello diciannovenne. “Fino a quel giorno mi aveva vietato di correre – racconta Livio – perché ero alto e magro, gracile. Ardelio sosteneva che il mio fisico non fosse ancora preparato per sopportare le fatiche bestiali di un corridore”. Il praticantato fu rapido. Livio: “La prima corsa a Borgale, la chiesa rupestre di Santa Maria, sulla via Verentana, a 5 km da Montefiascone. Bandierina abbassata, scatti e controscatti, attacchi e contrattacchi, andavo a prenderli tutti. Ardelio mi urlò: ‘Dio del Padreterno, ma la vuoi far finita di rincorrere anche le mosche?’. La verità è che non sapevo come mi dovessi comportare. Così mi limitai a stargli accanto. A 5 km dall’arrivo mi prese una crisi di fame. E all’improvviso mi sentii vuoto. Ardelio ne aveva ancora, ne aveva sempre, però si sacrificò e mi portò al traguardo. Lui tredicesimo, io quattordicesimo. Non pensavo che si potesse provare tanta sofferenza e tanta fatica per fare il corridore”. I 18 anni e un mese di differenza si vedevano: Ardelio era “il vecchio”, Livio “il giovane”. E c’è chi li prendeva per padre e figlio.
Già alla terza corsa le cose migliorarono. Ancora Livio: “Si correva il Gran premio di San Flaviano, proprio a Montefiascone, il 26 aprile, il giorno del compleanno di Ardelio e il giorno dopo il Gran premio della Liberazione, con molti corridori anche internazionali che avevano corso a Roma. Scatti e controscatti, attacchi e contrattacchi, davanti rimanemmo soltanto noi due. Sulla salita finale di Sant’Antonio, Ardelio mi pregò di rallentare. Lo feci e così mi guadagnai la vittoria”.
Ardelio avrebbe potuto scrivere la storia del ciclismo. Quella volta al Giro di Puglia e Lucania del 1954, sette tappe, Ardelio vinse la prima e conquistò il primato, gestì la corsa, ma all’ultima tappa, forse la più facile, quando ormai era tutto pronto per il trionfo finale, la polizia gli fece sbagliare strada, lui e i primi 14 della classifica arrivarono al traguardo, c’era anche Alessandro Fantini, ma in senso inverso e non furono classificati, vinse il sedicesimo.
Quella volta al Gran premio Achille Lauro del 1957 a Roma, la partenza da piazza del Popolo, la salita di Rocca di Papa dal versante di Frascati. Livio: “Una quindicina in fuga, Ardelio mi ordinò di prendergli la ruota, e sullo strappo di Sant’Antonio rimanemmo in quattro: Ardelio, Salvatore Morucci, Alberto Emiliozzi, che sarebbe diventato professionista, pure vincente, nella Faema, e io. Ardelio si sfilò, aveva un po’ di mal di stomaco, io li staccai, la corsa si ricompattò in discesa, tranne Amico Ippoliti, che anche lui sarebbe diventato professionista, ma non vincente, nella Philco. Nel finale Ardelio mi disse di provare a scattare, e io scattai, mi rimase attaccato solo Vittorio Colabattista, che mi pregò di farlo arrivare secondo, doveva ancora firmare il contratto con la Lazio per l’anno successivo”.
Quella volta che, al Gran premio di Allumiere, Zi’ Peppe propose ad Ardelio di tornare a casa con lui, ma Zi’ Peppe era in moto, così Ardelio si sistemò dietro con la bici in spalla, preoccupato solo che ci fosse abbastanza benzina. Zi’ Peppe lo rassicurò. Ma a Vetralla la moto cominciò a starnazzare, poi a starnutire, infine si fermò. La benzina era finita. Ed era notte. Scesero dalla moto e la spinsero, Zi’ Peppe a due mani e due braccia, mentre Ardelio con una mano teneva la bici e con l’altra spingeva la moto.
Quella volta che, forse nel 1956, Fausto Coppi volle conoscere Ardelio perché ne aveva sentito parlare tanto e bene, accadde a una corsa in Liguria, e il Campionissimo si complimentò con lui, poi gli domandò perché continuasse a correre a quell’età, e Ardelio ribatté chiedendogli perché allora corresse anche lui – erano nati nello stesso anno -, Coppi gli rispose “ma io sono un professionista, e corro per i soldi”, Ardelio era dilettante a vita, e correva per la passione.
Quella volta che, nel 1957, a 38 anni e mezzo Ardelio decise che la Coppa città di Morolo, vicino a Frosinone, sarebbe stata la sua ultima corsa da dilettante a vita, a organizzarla il giornalista Lillo Pietropaoli, a vincerla forse Silvestro La Cioppa, l’anno dopo ci riuscì Livio.
Quella volta che, il 30 agosto 1960, Olimpiadi di Roma, prova dilettanti su strada, Ardelio si piazzò sul circuito di Grottarossa, all’inizio della salita, portandosi dietro il figlio Giancarlo, e a tre giri dalla fine si allungò e a Livio urlò: “Dio del Padreterno, l’è ora”, Livio scattò e si riportò sull’uomo solo al comando, il russo Viktor Kapitonov.
Quella volta che nel 2013 Riccardo Magrini fu invitato a Montefiascone, dove 30 anni prima aveva vinto una tappa del Giro d’Italia, e a Giancarlo (detto Pajetta perché in bici era battagliero come il partigiano e comunista) domandò di suo padre Ardelio, e Ardelio era lì, su una panchina. Giancarlo: “Babbo, questo è Magrini, quello che vinse qui a Montefiascone al Giro”. Ardelio: “Dio del Padreterno, ha fatto il professionista con quella panza?!”.
Ardelio Trapè è morto il 7 novembre 2017. Aveva 98 anni e sette mesi. Fino a qualche tempo prima guidava ancora la macchina.
(fine della seconda e ultima puntata)
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