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Una vita accanto a Felice Gimondi come gregario, poi una carriera da direttore sportivo iniziata nel 1987 e che prosegue oggi con la Toscana Team Factory. Serge Parsani ci ha raccontato gli obiettivi per il nuovo anno, ma soprattutto come provare ad intervenire per far sì che il ciclismo italiano possa tornare ai livelli di un tempo.
La novità per voi è il cambio di sponsor: da Corratec a Solution Tech.
«Corratec ci ha comunicato a settembre che non intendeva più proseguire la sponsorizzazione con noi e non le nascondo che abbiamo avuto un po’ di difficoltà. Fortunatamente abbiamo trovato nella Solution Tech uno sponsor che è anche un grande appassionato di ciclismo e la cosa di ha dato ancora più morale e soddisfazione per poter continuare».
Quali saranno gli obiettivi?
«Più o meno quelli dell’anno scorso, cercando di ben figurare in particolare nel calendario asiatico che quest’anno abbiamo arricchito, anche alla luce del fatto che abbiamo inserito nel nostro roster un corridore giapponese di grande esperienza come Yukiya Arashiro. Disputeremo parecchie gare in Cina, Giappone, Taiwan e Thailandia con l’obiettivo di fare il maggior numero di punti possibili anche per provare a fare un salto di qualità. Come ben sapete, dal prossimo anno la forbice si restringerà ulteriormente: al posto di 40, infatti, saranno solo 30 le squadre che potranno ambire a una “wild card” per i Grandi Giri, perciò quest’anno dovremo mettercela tutta per riuscire ad entrare tra le top 30 e coltivare il sogno rosa. Il nostro nuovo sponsor si è detto disposto a investire ancor di più se riuscissimo a fare il Giro il prossimo anno, perciò dobbiamo mettercela tutta per accontentarlo».
Per inseguire questo sogno avete lavorato molto sull’organico.
«Sì, diciamo che abbiamo cambiato molto l’organico dell’anno scorso, inserendo 7-8 giovani di prospettiva: speriamo che questi ragazzi crescano per darci poi la possibilità di alzare ulteriormente l’asticella tecnica tra un anno. Accanto a loro sono rimasti elementi di assoluto riferimento come Valerio Conti e Kristian Sbaragli, come Mark Stewart e Dusan Rajovicm che tra l’altro ci ha regalato la prima gioia della stagione vincendo la seconda tappa del Tour of Sharjah negli Emirati Arabi. Anche Lorenzo Quartucci e il nuovo arrivo Filippo Fortin sono partiti con il piede giusto regalandoci dei buoni piazzamenti. Confidiamo nel fatto che l’adagio “chi ben comincia è a metrà dell’opera” valga anche per noi».
A lei l'esperienza certo non manca: come vede il ciclismo italiano?
«Non essendoci una squadra nel World Tour, in Italia diventa difficile trattenere i corridori di un certo valore. Noi, la VF Group Bardiani Csf Faizané e la Polti VisitMalta possiamo solo pensare di crescere e formare dei giovani per poterli poi lanciare verso formazioni della categoria superiore. Bisognerebbe trovare uno sponsor, qualcuno che riesca a mettere in piedi una squadra World Tour in modo da trattenere i corridori importanti che abbiamo in giro per il mondo. Ormai siamo fermi a Nibali e da qui in poi bisogna lavorare con i giovani»
Pensa che sia anche una questione solo di investimenti o serve un intervento da parte della Federazione?
«La Federazione dovrebbe darci una mano perché facciamo fatica anche noi come ProTeam ad andare avanti. Secondo me ci vorrebbero dei regolamenti che rallentino questa migrazione in team di primo livello a soli 18 anni, quando i ragazzi non sono ancora formati, né fisicamente né mentalmente. Invece questa è diventata la norma».
I giovani sono una priorità?
«Sicuramente. Siamo forse la nazione più povera di velodromi d’Europa. Serve creare le strutture per fare in modo che si allenino in sicurezza».
C’è un calo di vocazioni…
«Negli anni ’70-80 avevamo anche tante squadre, tanti corridori, c’erano parecchi corridori che ambivano a venire in Italia. Adesso purtroppo non abbiamo le squadre, non abbiamo le strutture e occupiamo ormai da tempo una posizione marginale. La Federazione dovrebbe analizzare questo stato di cose e trovare assieme a tutti noi i giusti correttivi».
Cosa ne pensa dei risultati ottenuti in pista?
«Ben vengano! Spero che un numero sempre maggiore di ragazzi comincino dalla pista. Abbiamo l’esperienza degli inglesi, degli australiani... ci sono tanti atleti che sono cresciuti nei velodromi e poi sono approdati al ciclismo su strada. Se creiamo delle strutture, possiamo attirare e incentivare i ragazzi a scegliere di andare in bicicletta al posto di pensare solo al calcio o al tennis».
Lei di fenomeni se ne intende e ne ha visti parecchi nella sua carriera: un suo giudizio su Pogacar?
«Abbiamo un gruppo di talenti che sta facendo appassionare i tifosi del ciclismo. Gente come Pogacar, Van de Poel, Evenepoel, Vingegaard, ragazzi fenomenali che fanno bene al ciclismo mondiale. Anche se Tadej è indiscutibilmente il più fuoriclasse di tutti: nessuno è come lui. Noi italiani, purtroppo, non abbiamo ragazzi che possano competere con questi fuoriclasse».
Le chiediamo anche un giudizio su Filippo Ganna: a suo parere può diventare un uomo da classiche?
«Io penso che abbia tutte le caratteristiche per poterlo diventare. La Sanremo, le classiche del nord... può essere sicuramente protagonista, credo che possa essere uno degli italiani da tenere in maggiore considerazione nel panorama del ciclismo mondiale».
È un ciclismo tanto diverso dal suo?
«Ai miei tempi c’era un capitano in ogni squadra, praticamente si correva sempre per lui, ci guidava un direttore sportivo e stop. Ora le squadre sono strutturate con 30 corridori: ai miei tempi eravamo in 15-16, ora ci sono cuochi, preparatori, mental coach e nutrizionisti, la struttura è molto più grande, questo porta anche dei costi maggiori».
Una corsa a cui è particolarmente affezionato?
«La Sanremo, perché è la prima classica dell’anno: ho avuto la fortuna di vincerla con Pozzato e con Bettini, sono soddisfazioni che ripagano di tutto il lavoro e il sacrificio che fanno sia i ragazzi, sia lo staff della squadra».
Passerà molto tempo prima di rivedere l’Italia vincere un mondiale?
«Ho avuto la fortuna di avere in squadra dei corridori che hanno vinto mondiali a raffica, come Freire, Boonen e Bettini: erano una garanzia. Attualmente mi sembra proibitivo sognare un campione del mondo italiano: sono fasi della vita, adesso siamo in salita, ma si spera che possa iniziare quanto prima la discesa».
da tuttoBICI di febbraio