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È una di noi, lo resterà per sempre, come tutti quelli che a vario titolo nel bicimondo hanno speso tempo, fatiche, passioni. Lei ci è rimasta tanti anni, si può dire sia entrata ragazzina e ne sia uscita nonna, dico come stagioni della vita, perché non mi risulta abbia nipoti discendenti. Gli stessi suoi ruoli sono cambiati con le età, tanto che nessuno potrebbe mai accusarla d’essere arrivata in cima saltando molti passaggi e tagliando molte curve, davvero ha battuto alla grande il marciapiede (in senso buono, su, concediamoci ancora un po’ d’autoironia senza finire subito nelle gattabuie del sessismo) e a seguire ha salito tutti i gradini e i gradi del giornalismo televisivo. Parlo chiaramente di Alessandra De Stefano, per me La Zia.
Da qualche tempo ha lasciato del tutto le biciclette e si è trasferita a Parigi per curare la corrispondenza dalla Francia. Casualmente le è ritoccato anche lo sport, a cominciare dalle Olimpiadi, ma non è più questo il pascolo che frequenta stabilmente. Ormai fa tutto: politica, nera, cultura, colore. Io la seguo sui Tg e mi sbuca da tutte le parti. Senza farla lunga: sono qui come semplice italiano, come telespettatore medio, a dirle un pubblico, sentito, sincero Brava Zia. Ne avesse ancora, la Rai, di corrispondenti come lei.
Quando faceva la ciclista, personalmente non ho mai sopportato la sua deriva retorico-zuccherosa (da qui, La Zia), ma sì, quella visione idilliaca e incantata per cui tutti i ciclisti e tutti i frequentatori del ciclismo sono per definizione santi, martiri, eroi (magari io sono più sfortunato di lei, ma in tanti anni ho incontrato nell’ambiente persone eccezionali e incommensurabili teste di, come peraltro in tutti i campi della vita). Niente di tutto questo, adesso. Nella nuova vita, La Zia è una signora giornalista. In pochi mesi ha già seppellito la Botteri, che per il solo fatto di essere andata su qualche fronte di guerra viene venduta come una seconda Fallaci (quello però caso mai è coraggio, o incoscienza, o vanità: non significa grande giornalismo). Tanto la Botteri faceva faccine e gesticolava per caricare le poche cose poverine di cui era capace, tanto La Zia è essenziale, sobria, concreta. Ha il dono della sintesi, della precisione, della sostanza. Non recita, informa. In poche parole, fa magnificamente il suo lavoro, senza concedere niente alla fuffa e al narcisismo personale, in netta controtendenza rispetto al telegiornalista tipo, più preoccupato di come apparire che di come informare. Certo, se proprio devo dire, anche alla Zia avrei da avanzare un paio di rilievi, ad esempio la voce troppo bassa per noi sordi di ultima generazione, ma anche un certo eccesso di serietà, ai limiti del funereo (dai Zia, un sorriso ogni tanto, so che puoi farcela, non si ha la grazia di nascere napoletani mica per niente). Ma come si vede sono rilievi piccoli, banali, marginali. La sostanza resta, e parla di una corrispondente e di una giornalista con i controfiocchi.
Sono i primi dell’anno nuovo, ancora non si corre o si corre poco, non mi è parso vero di scantonare un attimo dall’attualità per dedicare un pensiero a un fatto e a un personaggio laterali. Però attenzione: i complimenti alla Zia non sono poi così estranei al tema. È un modo per dire che il ciclismo, ancora una volta, si conferma formidabile palestra non solo per chi pedala, ma anche per chi scrive e racconta. Non sto qui a fare l’elenco dei giornalisti che hanno inzuppato il biscotto nel settore, ormai è storia e cultura del nostro paese. È solo per dire che uno sport di vera umanità, uno sport fatto anche di storia, architettura, geografia, politica, enogastronomia, arte, eccetera, inevitabilmente diventa master ideale per crescere e formare ottimi giornalisti. Almeno quelli che abbiano occhi per vedere e orecchie per sentire, magari sollevando lo sguardo dal pignone e dal watt. La Zia è l'ultimo risultato di questo grandioso laboratorio sociale e professionale. Brava lei a non avere sprecato il suo tempo, ad avere sfruttato l’occasione. Mi viene da dire che lì, a Parigi, abbia davvero trovato il suo posto nel mondo. E noi italiani, una volta tanto, non dobbiamo vergognarci dei corrispondenti che solitamente mandiamo in giro. Con quello che ci costano, tra parentesi.
da tuttoBICI di gennaio