Morì oggi, dieci anni fa. La vita lo premiò senza aspettare giudizi terreni o divini, ma lo fece proprio al momento del congedo: perché Alfredo Martini morì nella sua Sesto Fiorentino, nella sua casa di via Giusti 7, nel suo letto al primo piano. Erano le ventuno e quaranta del 25 agosto 2014. Fa bene al cuore pensare che da quell’istante l’asteroide 1995 PC, poi ribattezzato 8558 Hack in onore della sua amica Margherita, abbia cominciato a brillare più intensamente. E più ciclisticamente. Perché, proprio come la vita, anche la stella è una ruota.
Eppure Alfredo Martini, se pure non respira più, come un velocista in apnea negli ultimi cinquanta metri, c’è, abita, vive. Nei racconti, nei ricordi: la memoria. Nelle corse, nei corridori: l’eredità. Nelle fotografie, nei libri: il tesoro. Era, o forse ancora è, un’isola del tesoro. Chi lo ha conosciuto, anche chi lo ha incontrato, o ascoltato, o visto, ne custodisce un senso di leggerezza, di bontà, di eternità. Era, o forse è ancora, la sua semplicità. Gesti semplici, parole semplici, sguardi semplici. Com’è difficile essere semplici. Lui aveva quel dono: ci riusciva. Così.
Martini figlio: “Mia madre non sapeva né leggere né scrivere, ma era una donna straordinaria. L’avevano trovata le suore, alla ruota degli Innocenti, cioè la Ruota dell’Ospedale degli Innocenti, a Firenze, dove si abbandonavano i neonati non voluti o non desiderati, ma perché non morissero”.
Martini garzone: “Fra gli undici e i tredici anni andavo ad aiutare un parrucchiere, a Sesto. Cominciai insaponando le guance dei clienti, finii riuscendo a radere alcuni fra i clienti meno esigenti”.
Martini operaio: “Mi occupavo dei detonatori delle mine di mare. Poi si provavano i lanciafiamme in cortile. Aiutavo, assistevo, servivo. E imparavo. Imparai soprattutto ad ammirare e rispettare il lavoro degli operai”.
Martini lettore: “I miei viaggi li facevo sui libri nella Biblioteca comunale e popolare di Sesto Fiorentino… Si prendeva un libro alla volta e si doveva renderlo entro quindici giorni. M’iscrissi nel 1937”.
Martini partigiano: “Facevo la spola da Firenze e portavo i rifornimenti ai partigiani sul Monte Morello. Dovevo raccogliere abiti, cibo e armi per le staffette. In bicicletta portavo binocoli, e anche armi, li consegnavo e ritornavo a casa”.
Martini marito: “Prima di fidanzarci, andammo a fare una gita in bicicletta. Poi andai a trovare i suoi genitori. Il padre mi disse: ‘Noi non abbiamo nulla. Abbiamo soltanto la dignità, alla quale teniamo molto. Lei si regoli di conseguenza’”.
Martini padre: “Anche Silvia e Milvia devono ringraziare il ciclismo: quando erano piccine, e mi chiedevano di raccontare loro una storia, io prendevo in prestito quelle degli eroi del ciclismo e le adattavo, inserendo qua e là principesse e maghi”.
Martini negoziante: “Abbigliamento maschile, fine: dalle giacche alle scarpe… Mi occupavo anche delle vetrine: all’inizio ero io che la sera andavo a sbirciare le vetrine dei negozi di Firenze, poi però erano quelli di Firenze a venire a vedere le mie”.
Martini ciclista: “Da Binda a Nibali, mi sembra di avere attraversato tutte le epoche del ciclismo: come se fossi passato dalle guerre del fuoco ai viaggi sulla Luna. Un’opportunità straordinaria”.
Martini neoprofessionista: “Giro di Lombardia del 1941, categoria degli indipendenti… Scendendo dal Ghisallo, caddi in una curva micidiale – la chiamavano ‘la curva della morte’ – e spaccai tutt’e due le ruote. Non fui aiutato, rimasi a piedi, mi sentii perduto, non sapevo che cosa fare. Per mia fortuna trovai uno sportivo, che mi caricò sulla sua moto – avevo la bici a tracolla – e mi scaricò alla stazione ferroviaria di Asso. Ma non avevo soldi. Vendetti il tubolare di scorta e con il ricavato comprai un biglietto”.
Martini gregario: “Quella volta che Luciano Loro, di Bassano del Grappa, un gregario, mi ringraziò perché avevo seguito la sua corsa, e non quella del capitano. Gli spiegai che il lavoro del gregario, e la sua fatica, avevano un valore superiore. Il gregario deve farsi forte della sua debolezza, compensare i difetti studiando sé stesso e trovando le soluzioni nel modo di allenarsi e correre. Tutto questo lo aiuterà dopo, nel ciclismo come direttore sportivo o fuori dal ciclismo”.
Martini direttore sportivo: “Quella volta che – al Giro d’Italia, nel 1971 – si vinse la classifica generale con Gosta Pettersson, l’unico svedese che soffrisse il freddo. A quattro giorni dalla fine si affrontava una salita interminabile, in Austria, il Grossglockner. Era la prima volta che la si faceva e nessuno ne sapeva niente. La notte della vigilia, accompagnato da un amico salii sull’ammiraglia, sollevai la sbarra che chiudeva il passaggio e sempre guidando, per studiarne difficoltà e pendenza, la feci tutta”.
Martini commissario tecnico: “Quella volta che Merckx disse che gli sarebbe piaciuto trasformarsi in un uccellino, entrare nell’albergo degli azzurri e ascoltare quello che io dicevo ai miei corridori”.
Martini amico: “La sera in cui Fiorenzo Magni si è sentito male – aneurisma -, lo sapeva soltanto la sua famiglia… Però, di notte, mi sono alzato. Insonne, agitato, nervoso. E solo la mattina, quando è squillato il telefono, ho capito il perché. Lo avevo sentito nell’aria. Per certe cose non c’è bisogno di telefonarsi”.
Martini vecchio: “Più vai avanti, di meno hai bisogno. Smorzi le pretese, cerchi l’essenziale, infine ti basta soltanto la verità. Quando ti senti all’ultimo chilometro, spogliare significa svelare e rivelare, cioè esaltare. E la verità diventa tutto: un bene enorme”.
Martini filosofo: “Il ciclismo continua a essere lo sport delle biciclette, serve a diffonderne la filosofia, e anche lo spettacolo. Il ciclismo è la pubblicità-progresso delle biciclette. Il ciclismo non è solo il gesto del pedalare, ma è molto più complesso di quello che si possa pensare: richiama muscoli e anima, richiede intelligenza e tecnica, presuppone l’adattamento al mezzo e alle condizioni del tempo e della strada, insegna a soffrire e a gioire”.
Martini consigliere: “Sono fortunato, e questo l’ho già detto. Ho avuto tanto, forse fin troppo. Ho voluto bene alla vita. Non c’è stato giorno in cui non avessi un appuntamento cui partecipare, un traguardo da superare, un gran premio della montagna da scalare, una vittoria, personale, da conquistare. L’unico consiglio che posso dare ai giovani: adoperate il vostro tempo per fare le cose buone, non sprecate nulla, perché poi vi tocca fare il bilancio, prima che siano gli altri a farlo per voi”.
PS Per saperne di più (e scusate se mi cito): “La vita è una ruota” di Marco Pastonesi con Alfredo Martini, Ediciclo, 2014; e “I silenzi di Alfredo Martini” di Franco Quercioli, Ediciclo, 2021.