Gli italiani lo consideravano belga, i belgi italiano. Così in corsa non aveva mai via libera: lo inseguivano tutti. Il 2022 è stato l’anno del centenario della nascita di Pino Cerami, il belga di Misterbianco, l’italiano di Charleroi, inseguito da tutti, stavolta anche da Gaetano Dal Santo che gli ha dedicato il biografico “Il leone della Vallonia” (100 esemplari numerati, prezzo non indicato, per informazioni gaetano49@outlook.it).
Dalla piana catanese (Giovanni, il padre, lavorava il marmo, la famiglia di Grazia, la madre, aveva una bottega specializzata in arance, olio d’oliva e saponette), destino da lavoratori emigranti (prima a Homécourt, in Francia, poi a Charleroi, in Belgio), il minimo indispensabile a scuola, il massimo immaginabile sulla bici, dalla prima corsa paesana (terzo) alla prima vittoria (a 16 anni: un premio pari al suo salario di un’intera giornata da apprendista in una vetreria), la prima cotta (in fuga, da solo, poi il buio improvviso e un inconsolabile quindicesimo posto finale) e la guerra, la Seconda guerra mondiale, il posto di lavoro in un’industria mettallurgica e addio bicicletta. E la rinascita, all’inizio da lavoratore-corridore, partendo dal basso (senza licenza, indipendente, finalmente professionista), una carriera infinita, da Bartali e Coppi ad Anquetil e Poulidor. E il bello era che, invecchiando, Pino Cerami migliorava: a 38 anni conquistò la Parigi-Roubaix e la Freccia Vallone, a 39 la Freccia del Brabante e la Parigi-Bruxelles, a 41 anni, 2 mesi e 3 giorni una tappa del Tour de France. “La carriera dei ciclisti? E’ come una bottiglia di buon vino – amava spiegare -. Bisogna versarla lentamente per apprezzarne il gusto e farla durare. Se viene versata troppo rapidamente, il gusto svanisce in fretta e non dura”.
Pino, gregario di Van Steenbergen e Ockers, Koblet e Kubler, Stablinski e Daems, Wolfshohl e Simpson. Pino, che si specializzò nelle kermesse, circuiti urbani, obiettivo portare soldi a casa. Pino, che alla fine di una tappa flagellata dalla pioggia cercò di far asciugare le scarpe fradicie, ma la mattina dopo erano secche come pezzi di legno e corse senza poter tirare le cinghiette dei pedali. Pino, che al Giro di Lombardia del 1952 si iscrisse da individuale, divise la trasferta con due amici tifosi (da Charleroi a Milano, su un Maggiolino, più di 900 km su statali e provinciali, benzina divisa per tre), grazie anche a un errore di percorso giunse secondo e guadagnò il premio come “migliore italiano venuto dall’estero” (e poi altri 900 km per tornare a casa). Pino, che si ritirò ma sopravvisse alla tormenta di gelo della tappa sul Bondone al Giro d’Italia del 1956. Pino, che la sera prima della vittoriosa Freccia Vallone, si mise a letto presto bevendo latte caldo con un cucchiaio di miele e due pasticche di Aspro. Pino, che partecipò 10 volte alla Sei Giorni di Bruxelles, la prima volta nel 1948, ingaggio modestissimo per coprire le sole spese vive, però premi equivalenti – a quel tempo si ragionava così – a due mesi di salario in fabbrica.
Cerami è morto nel 2014, a 92 anni e mezzo. Inviato dalla “Gazzetta dello Sport” per le classiche del Nord, ne approfittai per andare a trovarlo e conoscerlo nella sua casa di Charleroi. Mi confidò di sentirsi sia italiano sia belga, ma soprattutto siciliano: “Mi ricordo quando andavo in campagna con il nonno e l’asino. Guardavo il mare e il cielo, mangiavo i fichi e le olive, mi sembrava di stare nel paradiso terrestre”.
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