La sicurezza, pur essendo un sostantivo femminile, nei fatti appare come una questione essenzialmente per maschi: si discute delle loro gare e a loro si chiedono pareri e proposte. Anche gl’incarichi su questa materia risultano affidati quasi esclusivamente a uomini.
Certo, non è il caso di aprire anche su questo una questione di parità di genere, tuttavia, ogni tanto, ricordarsi delle gare ciclistiche femminili e della sicurezza delle donne che vi pedalano, non sarebbe affatto male, dando voce e ascolto a chi queste condizioni le vive e le può rappresentare con adeguata esperienza e credibilità.
Esattamente quello che gli organizzatori della 30ª edizione del “Giorno della Scorta”, hanno scelto di fare invitando ai propri lavori Marta Cavalli, che sarà presente per portare il proprio contributo al tema, rispondendo alle domande che le saranno poste dal direttore di Tuttobici/Tuttobiciweb, Pier Augusto Stagi. Uno dei momenti più significativi della manifestazione, che si svolgerà il 12 novembre presso la prefettura di Ravenna.
Un pensiero, quello di Marta Cavalli, che intanto si può scoprire dalla sua intervista pubblicata nella brochure dedicata all’evento, così come di seguito viene proposta.
SULLA SICUREZZA NON SI FACCIA ECONOMIA
"Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani" diceva qualcuno circa 160 anni fa. E ben sappiamo quanto sia un processo faticoso.
Ecco, potremmo esattamente parafrasare quella citazione risorgimentale per affrontare il problema della sicurezza dei ciclisti, sia in allenamento che in gara: le strutture si fanno e migliorano, ma a dover fare il salto in avanti è la testa delle persone.
Questo sembra volerci dire Marta Cavalli, che in vista della 30^ edizione del Giorno della Scorta fornisce le sue impressioni su questo delicato tema.
Sull'allenamento: «Naturalmente posso parlare per la mia zona (Marta è cremonese, ndr). Le amministrazioni si stanno impegnando tanto per le piste ciclabili e questo fa piacere. Non c'è una mancanza "fisica" di sicurezza, bensì disciplinare e di rispetto da parte degli automobilisti. Trovo sia frutto della vita frenetica di oggi, che ci chiede di fare sempre più cose, sempre più in fretta: finisce che la gente sfasa, presta meno attenzione, va sempre a mille e quando trova un ciclista sulla propria strada lo percepisce come un ostacolo, una gigantesca perdita di tempo, e scaturiscono i problemi. Noi sulla bicicletta siamo i capri espiatori, ci si scaglia su di noi. Questa è la considerazione nei nostri confronti, una dinamica che va peggiorando di continuo.»
Sulle corse, inevitabile prendere spunto dall'incidente al Tour de France femminile, quando l'australiana Nicole Frain è andata a sbattere tra testa e schiena di Marta a piena velocità dopo una caduta di gruppo: «Certi avvenimenti pongono in evidenza l'importanza del metterci tutti la testa sulle spalle e valutare i rischi, non permettendo che l'agonismo offuschi la mente. Nelle gare del World Tour, specie dopo il terribile incidente tra Jakobsen
e Groenewegen in Polonia nel 2020, c'è stato un enorme miglioramento della sicurezza: al Tour ho visto tombini segnalati con le bombolette e posti perpendicolarmente alla traiettoria delle bici, nelle classiche belghe sono rimasta colpita dalle nuove barriere e dalle transenne senza piedino per evitare ogni intralcio. Tante cadute, nel ciclismo di alto livello, ad oggi sono causate da atteggiamenti incoscienti di noi che corriamo, più che da pecche organizzative. Il discorso un po' cambia se guardiamo alle corse "meno importanti": lì a volte si vedono organizzazioni non perfettamente all'altezza, con falle al loro interno e compiti mal distribuiti che aumentano notevolmente i rischi. Come quando Anastasia Carbonari non ha potuto evitare quel pick-up nero in discesa al Simac Tour in Olanda. Non ci si può e non ci si deve accontentare di garantire semplicemente gli standard di sicurezza minimi».
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