Il ciclismo azzurro vive una fase di crisi. Sicuramente dal punto di vista dei risultati, con la mancanza di grandi campionati da risultati "top" nel World Tour (al netto di alcune situazioni particolari come Ganna nelle cronometro e Colbrelli nelle classiche dell'anno scorso: del resto, una tradizione come quella dell'Italia mica si cancella in un decennio). Veniamo da una campagna del nord senza un nostro connazionale in top ten, e nei Grandi Giri i favoriti ormai sono fenomeni di altri Paesi.
Abbiamo deciso dunque di interpellare sul tema alcuni personaggi del panorama ciclistico italiano: oggi è il turno di Marino Amadori, c.t. della Nazionale Under 23.
Se Bruno Reverberi ci aveva tenuto ad affermare subito che "la mancanza della World Tour italiana non c'entra niente", Amadori al contrario punta il dito su questo: «A parte che si è messa di mezzo tanta sfortuna con ragazzi come Colbrelli e Moscon, e andando a scavare dico pure Petilli, conserviamo tanti corridori interessanti soprattutto per le classiche. Solo che spesso corrono per squadre che ai livelli più alti li costringono per anni a un lavoro che non consente loro di liberare tutto il potenziale: si tratta pur sempre di multinazionali con sponsor quasi sempre stranieri che hanno dunque un occhio di riguardo per gli altri. Poi certo, c'è una serie di concause. I numeri sono calati...»
Piombiamo dunque sulle difficoltà del ciclismo di base. «Nonostante uno dei primi regali che i bimbi ricevono da piccoli sia la bicicletta, ora i ragazzini tendono a orientarsi su altri sport - osserva Amadori - che magari sono più attrattivi per i giovani e lasciano più tranquilli loro e le famiglie: le strade in Italia sono piene di pericoli e le infrastrutture protette sono ancora troppo poche. Andare in strada in sicurezza è un tema molto delicato, ed è difficile soprattutto per Giovanissimi ed Esordienti.
Alcune nazioni però sembrano contraddire questa equazione. «Chiaro, ci sono Paesi con meno numeri di noi che però producono signori campioni - ammette Amadori - ma in fin dei conti pure Madre Natura gioca un ruolo. La Slovenia è punto di riferimento di questo discorso, e se parliamo di talenti penso a una Spagna con Juan Ayuso: noi un Ayuso non l'abbiamo e mi auguro venga fuori presto uno così. Però attenzione, nelle categorie minori continuiamo a ben figurare a livello internazionale: due Mondiali U23 consecutivi con Battistella e Baroncini, tra Giro U23 e Tour de l'Avenir nell'ultimo decennio abbiamo fatto vittorie e podi coi vari Cattaneo, Ravasi, Aleotti... quest'ultimo può mettersi in evidenza al Giro d'Italia appena cominciato, così come Ciccone e Zana. Ci si aspettano risultati migliori per una tradizione come la nostra, ok, ma bisogna lavorare con pazienza, senza tarpare le ali ai talenti emergenti e avere un pizzico di fortuna in più.»
Ultima curiosità da c.t.: come va il rapporto con le società? «Normale che i ciclisti non siano della Nazionale, ma di chi investe parecchi soldi su di loro. La cosa essenziale è programmare con la massima collaborazione e pianificare programmi e calendari in modo tale che loro possano crescere e, pur senza deviare dagli obiettivi primari delle rispettive squadre, possano crescere in azzurro. Questo è ciò che cerco ogni anno di far capire ai direttori sportivi, a maggior ragione in una stagione dove questa dove avremo pure i Giochi del Mediterraneo a Orano in Algeria.»