Il ciclismo azzurro vive una fase di crisi. Sicuramente dal punto di vista dei risultati, con la mancanza di grandi campionati da risultati "top" nel World Tour (al netto di alcune situazioni particolari come Ganna nelle cronometro e Colbrelli nelle classiche dell'anno scorso: del resto, una tradizione come quella dell'Italia mica si cancella in un decennio). Veniamo da una campagna del nord senza un nostro connazionale in top ten, e nei Grandi Giri i favoriti ormai sono fenomeni di altri Paesi.
Abbiamo deciso dunque di interpellare sul tema alcuni personaggi del panorama ciclistico italiano: oggi è il turno di Bruno Reverberi, grande capo della Bardiani Csf Faizanè che sta puntando fortissimo sugli Under 23 made in Italy.
«C'è chi ritiene che il problema sia la mancanza di una squadra World Tour, ma non c'entra niente! - esordisce Reverberi, con la consueta schiettezza - Il problema viene dalla base: i corridori che arrivano al professionismo sono sempre meno, i ragazzi da piccoli ci sono anche ma poi li perdiamo per strada perché le società sono sempre di meno. Nella mia regione, ad esempio, sono rimasti due club dilettanti: Beltrami TSA e #inEmiliaRomagna. Dieci anni fa c'era ancora una buona generazione dilettantistica, oggi ci arrivano per le mani corridori che non hanno mai vinto nulla o quasi, e per avere una formazione competitiva dovremmo praticamente mettere insieme noi tre Professional italiane per farne una forte. Un grappolo d'uva non può riempire un barile, e non puoi sperare che capiti come alla Slovenia che ha tirato fuori i campioni da appena due milioni di abitanti.»
Le cause, dunque, vanno ricercate nelle categorie giovanili?
«Un tempo il sistema si reggeva su squadre che andavano a correre pure lontano da casa la domenica, perché gestite da appassionati che accettavano, loro e le loro famiglie, di rimetterci qualcosa pur di formare i ragazzi. Qui a Cavriago, ad esempio, di ragazzini tra maschi e femmine che vanno in bici ce n'è una cinquantina, solo che chi dirige le società della zona sono soprattutto persone della mia età, del ciclismo di una volta, insieme ai figli. Il mondo è cambiato: un direttore ed eventualmente la sua moglie o compagna è più difficile che accetti di pagare di tasca propria per portare a 400 km di distanza da casa i giovanissimi, gli allievi o gli esordienti. Le cose vanno un po' meglio tra i dilettanti perché i diesse iniziano a percepire uno stipendietto e sono disposti a sacrificare il weekend. E l'unica a non averlo capito sembra la Federazione, ma io l'ho detto chiaro e tondo in Consiglio: qua rischiamo di fare la fine del pugilato!»
Cosa dovrebbe fare la FCI?
«Fornire i giusti incentivi alle società di base, sicuramente. Aumentano i costi di affiliazione e tesseramento, poi chiedi cosa fanno dei soldi che ricevono dal CONI e la metà va via per pagare i dipendenti. Se vuoi però contattare qualcuno, è difficilissimo al di fuori dei loro numeri verdi. Il male del ciclismo italiano, oltre a non aver capito come sono cambiati i tempi, è l'eccesso di burocrazia: per partecipare a una gara Esordienti ci sono delle procedure che pare di dover gareggiare in Formula 1. Infine menzionerei l'utilizzo che si fa della Nazionale: in corse come il Giro di Sicilia l'azzurro dovrebbero vestirlo gli Under 23 per valorizzarsi, non che portano Caruso per vincere. Così è un danno per noi e le Continental. [due giorni dopo l'intervista che state leggendo, la replica del presidente Dagnoni a quest'ultimo appunto di Reverberi]»
A proposito di voi: da patron della Bardiani Csf Faizanè, al di là della base e della Federazione, qual è una delle vostre principali difficoltà?
«Oltre a quanto già detto, essere un Pro Team ti pone in una condizione difficile a livello di calendario: ogni anno si tribola per riuscire a partecipare alle corse migliori, e anzi ringrazio RCS Sport per gli inviti al Giro d'Italia. Ingaggiare atleti di primo piano è un'impresa: ho provato due anni fa a prendere uno della QuickStep, sa? Da noi poteva ambire a fare risultati personali, mentre di là è costretto a fare il gregario per gli stranieri che alla squadra interessa far vincere. Gli abbiamo persino offerto il doppio di quello che prendeva lì! Poi però è arrivata la domanda "Dove correrei con la Bardiani?" ed è rimasto lì dov'era...»