Quell’anno vinse 15 corse, quasi la metà (40) dei successi ottenuti in otto anni da professionista. Quell’anno indossò almeno cinque maglie, non solo la verde oliva della Legnano, ma anche la rosa al Giro d’Italia, prima l’azzurra e poi l’iridata ai Mondiali e la tricolore ai campionati italiani. Quell’anno era cantato come “il treno di Forlì” dall’orchestra di Romagna di Secondo Casadei: “Il missile Baldini vola e va. / I gran campioni son tutti ritirati / la maglia rosa ha conquistato già”.
Quell’anno era il 1958. E 60 anni dopo Ercole Baldini ricorda una stagione magica e irripetibile, festeggia se stesso e la vita (85 anni e passa), celebra la bicicletta e il ciclismo nella sua Forlì. Alle 15.30, nell’auditorium della Cassa dei risparmi di via Flavio Biondo 16 (ingresso libero), ci sarà spazio per un po’ di nostalgia e per molta amicizia: filmati e poi ricordi, testimonianze, confidenze. Con Gianni Bugno, Aldo e Francesco Moser, Vittorio Adorni, Arnaldo Pambianco, Italo Zilioli, Franco Balmamion, gli olimpionici Livio Trapè e Marino Vigna e il patron della Mapei Giorgio Squinzi tra i primi ad aderire all’invito.
Campione anche in modestia, Ercole Baldini sostiene di essere stato soltanto una meteora nella storia del ciclismo. Invece si è rivelato una supernova, un astro luminoso visibile anche di giorno. Prima corridore, pista e strada, poi direttore sportivo e dirigente, presidente dell’Associazione dei corridori e della Lega del ciclismo, nella Walk of Fame all’Olimpico di Roma e nella Hall of Fame della “Gazzetta dello Sport” a Milano, sempre ambasciatore per la convinzione e signore per lo stile. Intuitivo, generoso, autentico, vero. Per questo da tutti amato e rispettato. E con una casa-museo a disposizione di comitive e studenti, in cui ha radunato ed esposto i suoi cimeli, biciclette e maglie, fotografie e giornali, piccole pietre miliari di una storia a pedali.
Ercole Baldini ha memorie straordinarie. Quando incontrò Fausto Coppi in bicicletta: “Prima mi misi alla sua ruota, timoroso e riverente, finché lui mi chiese di mettermi al suo fianco, per proteggerlo dalle auto e dai camion”. Quando si portò a letto Sophia Loren: “Magari. Un giorno eravamo nello stesso albergo, lei mi volle conoscere e la feci accomodare nella mia stanza. Nessuna malizia, stavano massaggiandomi e lei si sedette sul letto per farmi i complimenti”. Quando stabilì il record sul Muro di Sormano: “Giro di Lombardia del 1962, in cima per primo passò Livio Trapè, io impiegai 9’24”, una ventina di secondi meno di Imerio Massignan e Vito Taccone, scalatori. La salita non è mai stata il mio forte, ma quando ero in forma, andavo forte anche lì. Però quell’anno i tifosi, convinti dalla pendenza bestiale di quella stradina e commossi dalla nostra sofferenza, si erano prodigati nell’alleggerirci lo sforzo. E siccome io ero più corpulento degli altri corridori, offrivo più spazio per essere spinto. Poi, per 50 anni, il Muro di Sormano fu cancellato dal Giro di Lombardia. Ma non per colpa mia”. Quando si scusò con Giovanni Borghi, patron dell’Ignis, perché andava meno forte del previsto: “Non preoccuparti, mi disse, tu mi fai pubblicità anche se non vinci”. Quando fu rimproverato da Jacques Anquetil: “Eravamo stati ospiti a Marcinelle, in Belgio, nella miniera dove nel 1956 erano morti 262 minatori, più della metà italiani. Lì ci regalarono una lampada da minatori. Poi fummo ingaggiati per un circuito dalle parti di Liegi. Sfinito, scivolai in fondo al gruppo, stavo quasi per ritirarmi, quando Anquetil mi affiancò e mi disse: ‘Ercole, la miniera è più dura’. Tenni duro fino all’arrivo”.
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