ULISSI, OSCAR CON RIMPIANTO

PROFESSIONISTI | 28/12/2016 | 07:08
Nella classifica Uci è il numero nove al mondo, il primo degli italiani e per tuttoBICI il primo dell’Oscar 2016. Die­go Ulissi sorride soddisfatto, ma dai suoi occhi percepiamo chiaramente che gli manca qualcosa…

«Non ti nascondo che l’obiettivo del­l’Oscar era nella mia testa fin dall’inizio dell’anno. Oscar vuol dire stagione da ricordare ma ci manca qualcosa, al­meno una grande classica. Una grande corsa. Un Monumento che avrebbe da­to senso a tutto. Io sono così, non me la racconto mai, da me pretendo sempre il massimo. So di aver vissuto una buonissima stagione, regolare e costante, ma avrei voluto avere nella mia collezione un brillante in più».

Una stagione però che ti ha visto vincere per sei volte…
«Con due tappe al Giro (Praia a Mare, Asolo), oltre al Trofeo Getxo in Spa­gna, la cronoscalata al Giro di Slove­nia, quindi la tappa e la maglia della classifica finale del Giro della Repub­blica Ceca. Purtroppo anche cinque se­condi posti: una tappa del Tour Down Under, al Gp di Lu­gano, alla Tre Valli Varesine, alla seconda tappa del Giro di Slovenia e alla Coppa Agostoni. E poi terzo al Gp de Montreal di World­Tour, al Gp Costa degli Etruschi e al Tour du Haut Var. Se solo fossi riuscito a vincere in Canada…».

Che voto dai, quindi, al tuo 2016?
«Sette. Perché ho avuto un buon rendimento per tutto l’arco della stagione: da gennaio (Tour Down Under) ad ottobre. Sono nella top ten della classifica Uci. Le due vittorie al Giro sono im­portanti e mi gratificano parecchio, pe­rò come ti ho già detto mi è mancata la stoccata in una classica. Questo mi pe­sa. Nei dieci all’Amstel, nei dieci alla Frec­cia. Sono sempre lì, a lottare con i migliori ma sempre dietro ai migliori. Mi è mancato il colpo necessario per mettere all’angolo tutti».

Dicono che dopo i 200 chilometri ti manchi un po’ di fondo.
«Cosa vuoi che ti dica, fin quando non vinco una gara di questo tipo ha ragione chi sostiene questa tesi. Prima mi ci arrabbiavo. E mi giravano anche parecchio, ora però ho imparato a stare zitto e a lavorare: è l’unico modo per trasformare i pregiudizi in giudizi: corretti. Vado per i 28 anni, spero di maturare bene e migliorare ancora un po’. Il top lo raggiungerò tra i 30 e i 35 anni. Sento che in questi ultimi anni sono cresciuto moltissimo. È naturale che un Valverde abbia molto più tenuta ed esperienza di me, ma conto di colmare il gap. Io accetto tutte le critiche. Sono abituato ad ascoltare tutti, però è an­che vero che devo dare retta a chi mi segue».

Quindi, a Michele Bartoli…

«È lui che mi fa le tabelle e che mi se­gue passo dopo passo. E poi a Orlando Maini, con il quale mi trovo benissimo, e conosce tutti i miei punti di forza e quelli più deboli, sto lavorando benissimo. Infine devo render conto a Beppe Sa­ronni, “il capo”, con il quale lavoro ormai da sette stagioni. Quello che verrà sarà per me l’ottavo anno alla sua corte, sempre con la stessa maglia, an­che se di fatto cambierà, visto che diventiamo arabi».

Fedele a Saronni come Totti alla Roma?
«Come Marchisio alla Juventus, vorrai dire».

Ti ricordi la copertina che tuttoBICI ti dedicò quando eri ancora Juniores?
«Sì, era il 2006. Fu una bellissima sensazione, perché non me lo aspettavo. Seppi poi che fu Ivan Basso, allontanato dal Tour per le note vicende, a suggerirtela: “Punta sui giovani, e questo ragazzino toscano, campione del mon­do, se lo merita”. Di Oscar ne ho vinti quattro, con quello di quest’anno arrivato do­po quello da allievo (2005) e quelli da ju­niores (2006 e 2007). Ri­vincerlo da professionista mi fa un cer­to effetto, è un po’ come tornare bambino. È segno che qualcosa di buono l’hai fatto in questi anni e queste classifiche valgono tantissimo».

Venticinque vittorie in carriera: quale ti è restata più nel cuore?
«Le sei tappe al Giro sono tutte importanti. Se devo dirne però una, dico quella di Fiuggi del 2015. È stata la più emozionante. Perché venivo da un mo­mento non facile della mia vita di atleta, un periodo molto delicato e brutto. Era da un anno che non correvo e finalmente ero nuovamente lì con le braccia al cielo: è stata una liberazione. È stato come dire: è passato un anno, ma io ci sono sempre».

Qual è la vittoria che ti manca?
«Il sogno resta una classica Monumen­to: Liegi o Lombardia. Poi vorrei vincere anche una tappa al Tour, ma finora la Grande Boucle non l’ho mai disputata…».

La correrai l’anno prossimo.
«Molto probabilmente sì. E non vedo l’ora».

Questo presuppone che non farai il Giro?
«Non è detto. Perché non provare a fare Giro e Tour? È una ipotesi affascinante e anche una bella sfida. Ne ho già parlato con “il capo” Beppe Sa­ronni. Ne ho discusso son Michele Bartoli e il mio staff tecnico. Insomma, ci stiamo pensando seriamente».

E lui, Saronni intendo, è d’accordo?
«Sì, è arrivato il momento».

La sconfitta che non hai mai digerito?
«Quella della Tre Valli di quest’anno: mi sono girate parecchio. Sono andato veramente forte quel giorno, eppure Colbrelli è stato più scaltro e forte. Ci sono però tanti corridori che pensano solo a farti perdere. Sia ben chiaro, so che fa parte del gioco, ma la cosa non mi consola neanche un po’».

Corridore della tua infanzia?

«Paolo Bettini e Michele Bartoli: sono i corridori che più mi hanno entusiasmato e per certi versi anche ispirato. Poi amo anche la storia del mio sport. A Donoratico, a casa dei miei genitori, ho tantissimi libri, VHS e DVD sulla storia del ciclismo e di ciclisti: Gino Bartali è una figura che mi ha sempre affascinato parecchio».

Corridore straniero?
«Sai che non li ho mai amati molto. Preferisco gli italiani».

Dei tuoi colleghi in mezzo al gruppo, chi stimi?
«Io vado d’accordo un po’ con tutti. Ho un buonissimo rapporto con Niba­li, Aru e Gasparotto. Con Manuele Mo­ri ormai ci conosciamo dal 2009, e abbiamo sempre corso insieme. Lui è stato il mio tutor, e da quattro anni poi facciamo anche lo stesso calendario di­videndo la camera».

Qual è la caratteristica di Manuele?
«È rassicurante. Mi fa anche da psicologo. So che c’è. Nei momenti importanti posso sempre fare affidamento su di lui. È una persona che ti può sempre dare una mano».

Difetto?
«Deve far sempre la telecronaca della corsa. Lui arriva dopo la gara, sale sul pullman e invece di farsi una sana doccia e non rompere gli zebedei, incomincia a parlare ad alta voce e a ripercorrere tutta la corsa per filo e per segno; cosa preziosa, ma lo ammazzeresti an­che volentieri. Lo vedrei bene in futuro come diesse».

Una dote?
«È un grandissimo mediatore. Se ci so­no screzi e discussioni, riesce a ristabilire la pace. Fa ragionare le persone. È una figura fondamentale per una squadra. In questo lui e Matteo Bono sono due autentici fuoriclasse».

Matteo è bono?...
«Detto alla toscana è buonissimo. Non a caso è con il gruppo Saronni da dodici anni. Peccato solo che abbia la barba troppo lunga. In quanto a bontà, però, ci metterei anche il dottor Beltemacchi, il nostro alimentarista: è davvero l’uomo più buono del mondo. Nonostante questo, Roberto Ferrari riesce a farlo sclerare: prima di una crono riesce a mangiare l’inverosimile. Roberto è così, riesce a farsi la sua personalissima cena di Natale prima di affrontare una grande performance e poi il dottore va fuori di matto. A vederli c’è da morir dal ridere…».

Anche Roberto Ferrari, a suo modo, è un fuoriclasse…
«Lui vive nel suo mondo: è uno spasso. Sia ben chiaro, è un grandissimo professionista, un ragazzo eccezionale e a tirare le volate non è secondo a nessuno: secondo me è davvero uno dei mi­gliori al mondo. Ogni tanto è un po’ naif, ma come tutti i velocisti che si rispettino, è tutto genio e sregolatezza».

Quando sei a casa cosa ami fare?
«Playstation a go go. Calcio e giochini di guerra. Ci passo delle ore».

Ti piace andare in giro per negozi con Arianna?
«Non tanto, mi rompo».

Lugano ti piace?
«Si, mi ci trovo bene. È dal 2013 che ci viviamo. Arianna si trova benissimo. Io sono più attaccato alla mia terra. In ogni caso da quest’anno Lugano la vi­vremo molto di più, perché Lia incomincerà ad andare anche all’asilo: qui a Molino Nuovo, a 200 metri da casa no­stra. La cosa che piace ad Arianna? La riservatezza: qui a Lugano è davvero un segno distintivo».

Cosa ti manca di Donoratico?
«Tutto. L’affetto dei genitori e poi il mangiar bene. Il cinghiale in umido del bosco di Sassetta mi manca troppo. Io adoro mangiare: in particolare la selvaggina. Sono amante del cinghiale in umido con le olive, come me lo faceva nonna Solidea (morta prima del Giro, ndr). Poi il pesce. Mi manca anche il mare. Un conto è l’aria di mare e un altro è il lago».

Una domanda per Arianna: la dote mi­gliore di Diego?
«È molto rispettoso verso gli altri, se non gli fanno girare le palle.

E il difetto?
«Non ha tanta pazienza».

Cosa lo manda in bestia?
«Essere preso in giro».

Cosa dice Lia quando vede il babbo in Tv?
«Oggi vince».

Tornando a te, Diego: come fa Valverde ad andare così forte per tutto l’anno?
«Bella domanda. Intanto è un fuoriclasse, e su questo non ci sono dubbi. È innamorato del suo lavoro. Nessuno è più forte di testa di lui. E fa la cosiddetta vita del corridore al 100%: si allena moltissimo. Alejandro è come il vino: più passano gli anni e più l’è bono».

Peter Sagan?
«Ne nasce uno ogni trent’anni. È un fenomeno. Completo come pochi, im­prevedibile come nessuno. Bisogna ve­dere se dopo i trent’anni andrà ancora così. Per il momento fa vedere i sorci verdi a tutti, e che spettacolo…».

Chris Froome?
«A tanti piace e a tanti no. A me piace tantissimo perché vince».

Nibali?
«È il più forte di tutti. Perché va forte sia nei Grandi Giri che nelle Grandi Classiche. Il suo palmares è già ricco e poteva esserlo ancora di più se a Fi­renze e a Rio non fosse caduto: altro che storie».

Aru?
«Lo considero un talento purissimo. A 26 anni ha già vinto tanto. A parte quest’anno, in tutti i Grandi Giri ai quali ha partecipato non è mai uscito dai primi cinque. Il futuro è lui. La carriera deve incominciare adesso. Deve dimenticarsi questa stagione».

Contador?
«Ogni tanto lo incrocio in allenamento. È uno dei più grandi corridori della storia. È un talento assoluto. È caparbio come pochi ed è uno che non si ar­rende facilmente. Vecchio? Io credo possa ancora far vedere qualcosa di buo­no».

Il tuo colore preferito
«Il rosso».

Come la Ferrari?
«No, come il vino. La Formula 1 la seguivo in passato, ora mi annoia pa­recchio».

La canzone.
«A me piacciono gli Articolo 31 - che poi è diventato JAx - e Fedez. Nelle loro canzoni toccano temi importanti».

Attore.
«Leonardo Pieraccioni».

Attrice.
«Basta che siano carine, le apprezzo tutte».

Il film.
«Il ciclone. Fuochi d’artificio. Malavita, con Robert De Niro».

Fiore
.
«Rosa. È bella ma punge».

Frutto.
«Cocomero».

Pesce o carne.
«Carne».

Vino.
«Tutti i vini di Bolgheri: Ornellaia e Sassicaia».

Delle quattro stagioni?
«L’estate, anche se me la godo poco».

Dove hai conosciuto Arianna?
«A Empoli, ad una fe­sta di amici».

Una cosa che vi accomuna in particolare?
«Siamo parecchio casalinghi: quando si può ci si gode la casa».

Segui la politica?
«Molto poco».

Credi?
«A modo mio, ma non sono praticante».

Sei superstizioso?
«Sì, molto. Nella nostra squadra guai a chi fa cadere il sale in tavola. Valerio Conti lo fa cadere spesso e il giorno dopo cade lui».

Con chi ti alleni generalmente?
«Se devo fare dei lavori specifici da so­lo, però generalmente esco con Ga­spa­rotto, Nibali e Aru. Insomma, se il ca­lendario coincide, ci si trova».

I riti da ciclista.
«Io non sono uno che si mette le cose, ma se le leva. Aru si è accorto che quando ho le “giornate no” arrivo an­che a levarmi gli occhiali. Lui l’ha notato. Se potessi mi toglierei il casco e la ma­glietta».

Macchine?
«Sempre avuto fuoristrada. Spaziosa. Quando ci si muove, la moglie porta via sempre la casa. Ora ho una Jeep Grand Cherokee».

Moto.
«Non mi piacciono».

Valentino Rossi.
«Grande, ma invidio di più Iannone e non so il perché…».

Per Belen?
«E chi è Belen?...».

Gelato.
«Goloso come pochi, ma ogni tanto ci sta. Nocciola e pistacchio i gusti preferiti».

Bibite.
«CocaCola con la “hannuccia”. Ma de­vo stare attento».

Mare o montagna.
«Quando ero piccolo si andava in settimana bianca a Courmayeur, Livigno, Pila e Abetone. Adesso le montagne le scalo in bicicletta e quando posso: solo mare».

Quotidiano?
«Non li leggo».

Periodici.
«Chi, di Alfonso Signorini».

Siti.
«tuttobiciweb.it. Il meglio del meglio».

A chi dedichi il tuo quarto Oscar, il primo da professionista?
«A me, a mia moglie, alla mia famiglia e a Vincenzo Nibali: se non fosse caduto a Rio, questo Oscar sarebbe stato suo».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di dicembre
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