Mai sfidare una donna di carattere, infliggendole una ingiusta umiliazione: la reazione che può scatenare rischia di diventare imprevedibile.
Una carriera in sella. Accadde cinquant’anni fa con la bresciana Mary Cressari, pioniera del ciclismo femminile su strada e su pista. Al termine della stagione agonistica 1974 ci sono i Mondiali in Canada, a Montreal, prima volta che le maglie iridate vengono assegnate in un Paese fuori dal Continente europeo. Per Mary, da Castelmella, forte dei titoli italiani su strada vinti nei due anni precedenti e il trionfo al velodromo Monteroni di Lecce nel campionato italiano dell’inseguimento è una grande occasione per dimostrare il suo valore in un contesto internazionale. Forse l’ultima, visto la non più verde età (30 anni all’epoca era un’età limite per le donne!).
Nonostante una carriera iniziata nel lontano 1962 con i Mondiali di Salò, la vetrina iridata per donne azzurre è stata una opportunità sfruttata solo pochi anni perché in Federazione non credono al ciclismo femminile. Nei decenni seguenti il ciclismo femminile sarebbe invece diventato il fiore all’occhiello del movimento nazionale. Ma all’epoca bisognava fare i conti con questa atavica diffidenza e un malcelato sessismo. I dirigenti federali, di fronte alle spese ingenti per la trasferta in Canada decidono di sacrificare la presenza della Nazionale femminile.
«Se avessero ammesso che era una questione di costi, forse l’avrei accettato - dice ancora oggi la campionessa bresciana, 80 anni - invece giustificarono il taglio dicendo che non eravamo all’altezza. Quella risposta mi mandò su tutte le furie, io che avevo stabilito due anni prima il record dell’ora femminile sulla stessa pista di Merckx in Messico. Il mio direttore sportivo Bonariva fu ancora più seccato di me e mi consigliò di battere il record dei 100 km sulla pista del velodromo Vigorelli di Milano per fargliela vedere a tutti quanto ero all’altezza. Più facile a dirsi che a farsi, avevo meno di due mesi per preparare il record. Il più felice per questo tentativo fu probabilmente Ernesto Colnago che si mise subito al lavoro per prepararmi una bici superleggera e performante come aveva fatto due anni prima con Merckx. Mi misi a regime per preparare il record, ogni giorno alle 7 del mattino mangiavo riso e filetto (oggi quel menù farebbe ridere un dietista ndr., ma all’epoca carboidrati e proteine era il consiglio più in voga) e poi continue sedute in pista per testarmi».
Il tentativo. La data scelta per il tentativo fu giovedì 17 ottobre come oggi, il teatro il glorioso velodromo Vigorelli di Milano e l’atleta bresciana ci arriva con il dente avvelenato. «La partenza - ricorda Mary - fu buona, la distanza da percorrere però era notevole, il Vigorelli, che misura 400 metri, (va girato per almeno 251 volte ndr.), per circa tre ore di sforzo continuo che fanno sembrare il record dell’ora una passeggiata. Tutto deve essere perfetto, basta una distrazione e un contrattempo e il tentativo può sfumare».
Come ricorda la legge di Murphy «se qualcosa può andare storto, lo farà» dopo trenta giri a tutta nel velodromo accade l’imponderabile. Mary fora la ruota, forse gonfiata troppo. «Siamo andati tutti un po’ nel panico, ma altra soluzione non c’era, bisognava cambiare bici e prendere il muletto, in quel caso era la bici usata per il record a Città del Messico due anni prima. L’operazione di cambio non può durare oltre il minuto. Mio fratello Carlo corre al centro della pista per prendere la bici di scorta, ma nell’agitazione del momento me la porge al contrario, con la sella avanti. Dopo lo choc per l’incidente riprendo a pedalare con più forza. Ho venti minuti per rientrare in tabella di marcia, altrimenti addio record».
Invece Mary ce la fa, compie 251 giri del Vigorelli in 2 ore, 41 minuti e 32 secondi alla media di 37,141. Sugli spalti gremiti è un’ovazione. Mary per tutti è la donna dei record.
da Il Giornale di Brescia