«Devo tutto al ciclismo. Devo tutto alla bicicletta. Vorrei fare qualcosa, ridare quello che ho avuto dal ciclismo. Mi spiace vedere il mio sport in questa condizione». Davide Boifava è sconsolato. Lo incontro, come spesso avviene, nel negozio Carrera di Ponte San Marco, gestito da suo figlio Simone. Sentirlo parlare è sempre un piacere, perché ti accorgi che - seppure prossimo ai 78 anni che compirà il 14 novembre - ha ancora molto da insegnare. «Parlo a ruota libera - prosegue Boifava - perché la situazione di oggi non mi piace. E non parlo solo di quella italiana». E allora: pronti, via.
Partiamo dalla situazione globale.
«Non mi piace questa ricerca esasperata da parte delle squadre più grandi di corridori sempre più precoci. Non mi pare giusto questo grande passaggio da juniores al mondo professionistico. Quanti campioni escono rispetto a quanti fanno questo enorme salto? E quanti ragazzi smettono prestissimo? Troppo spesso si illudono ragazzi e famiglie. Ragazzi che lasciano gli studi per diventare corridori; ma sei sicuro di diventarlo? Il ciclismo non è un gioco, è una disciplina di fatica. E per sopportare le grandi fatiche del mondo professionistico servono ragazzi strutturati. Perché c’è questa necessità di accelerare così tanto i tempi? È inevitabile che poi i corridori si brucino presto. No, questi sono fuori di “ciccotto”, nel senso che non ci stanno con la testa».
Sui giovani Boifava tocca altri tasti.
«Hanno liberato i rapporti tra gli juniores: perché? Non lo trovo affatto giusto. E vogliamo parlare dei professionisti che possono correre nel Mondiale Under 23? Anche questo non è giusto. Sei passato tra i grandi, vai avanti per la tua strada e lascia spazio a quelli che non hanno avuto la stessa possibilità anche perché le squadre minori fanno sacrifici pazzeschi visti i costi sempre più elevati».
E i rimedi quali potrebbero essere?
«Come prima cosa, soprattutto in Italia, serve che ci sia maggiore professionalità, serve personale più qualificato. La buona volontà, il volontariato dei pensionati non basta più. Ci sono corridori che appena smettono di fare agonismo si trasformano in procuratori. Vanno già tra gli allievi e fanno firmare tutti. Come se fosse la pesca a strascico, sperano che tra i tanti ci sia quello che gli farà fare soldi. Tanto non hanno nulla da perdere, rischio zero, non costa nulla prendere la procura di un corridore. La Federazione, invece, dovrebbe intervenire, formare questi ex corridori, qualificarli e portarli a lavorare con i più giovani. Poi, moralmente, che si facciano firmare procure a ragazzini è molto discutibile. Lo vieterei. Nel 1979, quando ho fatto il corso per diventare direttore sportivo, venivano i migliori manager a spiegarci come girava il mondo. Non mi risulta sia più così. E bisogna andare anche nelle scuole. Il fuoriclasse non lo puoi coltivare: è una perla rara. Intanto se allarghi la base magari qualche buon corridore per il futuro lo trovi. Ma purtroppo a livello politico, in Italia, il ciclismo non conta. Zero (apre le braccia, ndr). Anzi, la politica sembra voler fare di tutto per azzerare lo sport giovanile con costi e imposizioni a volte impossibili. Prova a organizzare per esempio una corsetta per i giovani e vedrai quante difficoltà - e quali spese - ti troverai davanti».
Poi c’è il problema, enorme, della sicurezza.
«Andare su strada oggi è davvero molto pericoloso. Per un ragazzino diventa un rischio folle. Bisogna puntare su percorsi chiusi. Nel 1992 a Nuvolento (il suo paese, ndr), attorno al campo da calcio a undici, abbiamo costruito un ciclodromo, una pista all’aperto. Ancora oggi a Nuvolento ci sono 30-40 giovanissimi che girano. E in Italia il calo dei giovanissimi è drammatico. Siamo tra le pochissime squadre rimaste ad avere questi numeri. Ma ancora di più bisognerebbe puntare sul fuoristrada: cross, bmx, pump track e via elencando. Ogni provincia dovrebbe dotarsi di una pista per bmx o mountain bike. Perché con il fuoristrada i ragazzi si divertono ancora di più che in un circuito su strada. Sono fuori pericolo, si divertono e imparano la tecnica. Questa è la strada maestra, non facile magari da percorrere, ma necessaria. Se qualcuno vuole, sono qui pronto a dare una mano».
Poi ci sarebbe anche la pista. Giovanni Malagò, presidente del Coni, martedì domani sarà a Montichiari. Meno di dieci chilometri da qui.
«La pista - sospira Boifava che per un attimo sembra non volere approfondire il discorso -. Più di due anni fa parlai con Cordiano Dagnoni. Gli offrii la collaborazione mia e quella ancora più preziosa, di un amico pronto a investire nel velodromo. Mi rispose di parlare con il sindaco di Montichiari (Togni, ndr). Incontrai anche lui e mi disse di parlare con Dagnoni. Prima della San Geo rividi il presidente e mi disse che mi avrebbe richiamato. Sono passati più di due anni e io resto a disposizione. Intanto il velodromo è ancora chiuso, accessibile solo alla Nazionale. E li giravano centinaia di ragazzini e amatori tutte le settimane»