Mondiale duro, non c’è dubbio: alla lunghezza (273 i chilometri) si aggiunge il dislivello (4300 metri). Numeri da grande classica, modello Liegi o Lombardia per intenderci. Si parte da Winterthur, con un tratto di 70 chilometri agitato da tre salite, un paio delle quali brevi e toste, poi si infila un circuito cittadino di 27 chilometri a Zurigo, con due strappi (Zurichbergstrasse, meno di un chilometro all’8,4 per cento e Witikon di quasi due chilometri al 6,2) da ripetere sette volte. Mondiale duro per uomini duri: non mancano nemmeno questi. A parte Vingegaard, già in letargo, e Van Aert, in officina dopo l’incidente alla Vuelta, il meglio del ciclismo attuale è presente. Detto che la Svizzera non ospitava il mondiale dal 2009 (nel 2020, causa covid, fu costretta a rinunciare e toccò a Imola salvare la manifestazione), ricordato che l’Italia non fa centro dall’anno prima (Ballan nel 2008 a Varese), ecco le dieci facce che potrebbero tingersi di arcobaleno, anche se ormai nei grandi appuntamenti ne potrebbero bastare molte di meno.
Tadej Pogacar. Vince perché la maglia iridata è uno dei suoi grandi obiettivi e quest’anno li ha centrati tutti, perché il percorso è severo come piace a lui, perché la presenza dei rivali più forti è una motivazione in più. Non vince perché il ciclismo non è matematica e anche i migliori devono sempre fare i conti con l’imprevisto.
Remco Evenepoel. Vince perché i grandi appuntamenti non li sbaglia, perché dopo la storica doppietta ai Giochi vuole entrare nella leggenda con quella ai Mondiali, perché ha l’occasione di dimostrare di non essere inferiore a nessuno nelle gare di un giorno. Non vince perché contro rivali di questo livello anche i marziani soffrono.
Mathieu Van der Poel. Vince perché le corse di un giorno sono quelle che gli riescono meglio, perché deve riscattare la delusione olimpica, perché il mondiale l’ha vinto un anno fa ma riconfermarsi subito non è da tutti. Non vince perché il meglio lo ha dato nelle classiche di primavera e a Zurigo trova una concorrenza lanciatissima.
Primoz Roglic. Vince perché a 35 anni è una delle ultime occasioni che gli capitano, perché alla Vuelta ha ritrovato condizione e soprattutto morale, perché non sarebbe la prima volta che prende in contropiede i fenomeni più giovani. Non vince perché nella crono ha mostrato segnali di stanchezza e può far la storia anche aiutando Pogacar.
Marc Hirschi. Vince perché ha centrato tutte le ultime cinque corse in linea disputate, perché il percorso di casa è perfetto per le sue caratteristiche, perché non aver corso grandi giri gli ha consentito di arrivare fresco a fine stagione. Non vince perché, per quanto si presenti tirato a lucido, rispetto ai più forti gli manca sempre qualcosa.
Juan Ayuso. Vince perché è un altro talento destinato a fare grandi cose, perché non ha digerito la scelta del suo team di non fargli correre la Vuelta, perché su un percorso come questo ha più chance di molti altri. Non vince perché dopo aver lasciato il Tour a metà ha corso poco e qui deve fare i conti con fenomeni decisamente più rodati di lui.
Julian Alaphilippe. Vince perché è l’unico che al mondiale c’è già riuscito due volte, perché se indovina la giornata sa come comportarsi, perché presentarsi a fari spenti è un vantaggio. Non vince perché la nuova generazione sembra irraggiungibile e perché la vittoria di Fano al Giro resta l’unico lampo in una stagione con più scuri che chiari.
Matteo Jorgenson. Vince perché è andato forte per tutta la stagione e prima o poi il grande colpo lo azzecca, perché in Nazionale non deve aiutare nessuno, perché non ha paura di confrontarsi con i migliori. Non vince perché nei grandi appuntamenti ha qualcosa in meno rispetto ai fenomeni in circolazione.
Mads Pedersen. Vince perché è un altro che va a nozze con i percorsi cattivi, perché nelle classiche è più davanti che in ritardo, perché sa andare all’attacco ma anche imporsi in volata. Non vince perché è da inizio stagione che va forte e il suo modo di correre spesso lo porta a sprecare più energie del necessario.
Antonio Tiberi. Vince perché dopo il quinto posto al Giro non si è spremuto, perché le prove impegnative non lo mettono in difficoltà, perché lui e Cattaneo sono gli azzurri che in questo momento pedalano meglio. Non vince perché a 23 anni ha corso soprattutto gare a tappe e non ha l’esplosività per rispondere agli assalti dei favoriti.