Durante la trasferta canadese, in cui ha ovviamente lasciato il segno vincendo il GP di Montreal, Tadej Pogačar ha avuto modo di intervenire come ospite nel podcast del dottor Peter Attia, fornendo tante considerazioni interessanti su ciò che è stato della sua carriera e ciò che sarà.
Abbiamo raccolto gli estratti più interessanti.
Sulla prima vittoria al Tour. «La chiave di quel successo? Eravamo tutti spensierati. Era il mio primo Tour, ero già sicuro del 2° posto e della maglia bianca. In squadra eravamo tutti contenti, avevamo già fatto preparare la bici bianca. E invece sulla Planche des Belles Filles è uscito fuori uno dei giorni più belli della mia vita. Incredibile».
Sul crollo sul Col du Granon al Tour 2022. «Quel giorno sbagliai a seguire Roglic quando attaccò già sul Telegraph. Dovetti rispondere a 8-9 attacchi e in più sul Galibier provai pure ad attaccare in prima persona, pur sapendo che davanti la Visma aveva ancora Wout Van Aert. Fu una mossa davvero stupida da parte mia. Sul Granon crollai, ma non fu una crisi di fame, avrei potuto mangiare quanto volevo, ma dopo 10 scatti in salita il corpo presenta il conto a prescindere».
Sul Tour 2023. «Il post Tour dell’anno scorso non è stato piacevole, ero stressato e ansioso. Ho cominciato a calmarmi quando abbiamo capito che effettivamente l’infortunio alla Liegi aveva influito sulla prestazione e poi la medaglia al Mondiale di Glasgow ha messo un cerotto parziale. La vittoria al Lombardia, probabilmente, mi ha riportato sulla retta via».
La preparazione alle gare. «Da quando sono junior mi piace provare a simulare la gara in allenamento, quindi cerco salite vicino a casa mia con caratteristiche simili e le faccio un numero di volte tale da assomigliare alla corsa. Per esempio al GP Montreal c’erano salite da 4-5 minuti e per prepararmi ne ho fatte diverse del genere. In generale, però, le mie preferite sono quelle da 20 minuti di sforzo, con pendenza media sopra il 9%».
Sulla rivalità con Vingegaard. «Non so esattamente quanto l’infortunio abbia influito sulla prestazione di Vingegaard al Tour quest’anno, anche perché ha tenuto abbastanza nascosto il suo percorso di recupero, ma credo che un po’ abbia influito. Non tanto sui suoi numeri massimi, che sono stati eccellenti, quanto sulla resistenza e costanza nell’arco delle tre settimane. Nei prossimi anni continueremo a sfidarci al Tour de France, a spingere l’asticella più in alto e capire chi dei due è più forte».
Sulla continua crescita. «Quest’anno ho lavorato di più giù dalla bici, esercizi a corpo libero e palestra. E ogni anno che passa scendo più nel dettaglio della nutrizione, cosa che fino a 5 anni fa ignoravo quasi completamente. Penso di aver trovato il giusto bilanciamento col cibo, non mi pongo restrizioni troppo grandi, anche perché mentalmente sarebbe difficile da accettare, ma allo stesso non esagero e so quando concedermi qualcosa in più. Anche finita la stagione non mi lascio andare e continuo a mangiare bene. Sono arrivato al massimo a 69 kg di peso e durante la stagione peso sui 65 kg».
La salita più dura. «Per me sicuramente il Col de la Loze, visto che lì c’è stata probabilmente la mia peggior performance in salita l’anno scorso. Ma anche nel 2020, quando lo feci la prima volta (chiuse 3° la tappa, ndr), accusai molto la fatica poi».
La Milano-Sanremo. «Ho la sensazione che la Sanremo possa diventare la mia maledizione. Probabilmente morirò provando a vincerla (ride, ndr). Ci sono andato vicino a vincerla eppure la sento così lontana…».
Tanti obiettivi. «In ordine, vorrei prima vincere i Mondiali, poi la Sanremo e un giorno, magari, anche la Parigi-Roubaix se ce ne sarà l’occasione. E c’è anche la Vuelta, anche lì tornerò per provare a saldare il conto con la maglia rossa. Olimpiadi? Vediamo il percorso di Los Angeles 2028, speriamo sia per scalatori, ma per noi non hanno la stessa importanza che per altri sportivi. I Mondiali per me sono più importanti. E comunque ogni anno abbiamo già l’obiettivo della carriera, il Tour de France».
Troppe vittorie? «In realtà non sento tante persone dire che vinco troppo, che sono ingordo. Certo, qualcuno c’è, ma tutti abbiamo degli haters, è normale. Per il resto è più un dibattito che portano a galla i giornalisti e commentatori per aver qualcosa di cui parlare. Ma io non ci vedo nulla di male, anche perché quest’anno, sulle 12 tappe che ho vinto tra Giro e Tour, solo 7 le ho corse realmente per vincere con la squadra, poco più della metà, il resto me le sono trovate lì per le tattiche degli avversari».
Il record di vittorie al Tour di Cavendish. «È qualcosa di incredibile. Personalmente non ci penso, anche perché non sai mai quando sarà la tua ultima vittoria. Voglio solo continuare a divertirmi e a pensare Tour dopo Tour. Poi quando ti ritrovi il record a portata di mano allora cominci a pensarci».
Sul Record dell’Ora. «Ero interessato fino a quando Ganna non ha fatto segnare il nuovo record. Ora diventa veramente difficile, ha fatto qualcosa di eccezionale, e mi ha fatto passare un po’ la voglia (ride, ndr)».
Sul Mondiale di Zurigo. «So che ho potenzialmente ancora tanti anni per vincerlo, ma prima lo vinco e meglio è, così mi tolgo questa pressione di dosso».