Chiuse le Olimpiadi, qualcosa rimane fra le pagine chiare (quelle del cuore?) e le pagine scure (quelle della memoria?), e fra le pagine bianche e le righe nere di un libro.
Ai tempi dei Giochi di Roma nel 1960, la casa editrice milanese Amz incaricò Emilio De Martino di scegliere brani su “imprese, episodi, leggende” olimpiche. Un giro di telefonate ed ecco 23 autori fra giornalisti, scrittori e atleti (Orio Vergani, Giovanni Mosca, Bruno Roghi, Gianni Brera, Franco Grimaldi, Alfredo Pigna, Emilio Violanti, Gianni Bagioli, Bruno Slawitz, Gian Maria Dossena, Vittorio Pozzo, Edoardo Mangiarotti, Luigi Gianoli, Giorgio Fattori, Franco Mentana, Aldo De Martino, Nino Oppio, Adriano Ravegnani, Giuseppe Signori, Ciro Verratti, Mario Oriani, Lamberto Artioli e Luigi Scarambone) per 41 racconti (più altri pezzi storici), tre illustratori (lo stesso Giovanni Mosca, Roberto Molino e Renato Silvi) per una cinquantina di disegni, e un fuoriclasse. Il fuoriclasse era Dino Buzzati, cui fu affidata “la presentazione”, in verità un racconto, anzi, un sogno, “il sogno di tutti”.
“Alla mia tenera età di cinquant’anni!”, “sarà il sole di Roma, saranno le fanfare che si spandono di qua e di là nell’aria, sarà l’eccitazione della folla d’ogni razza che si accalca ai piedi dello stadio”, si sente “maledettamente in forma”. A un amico, membro del Comitato supremo esecutivo olimpico, Buzzati chiede che cosa ci sia in programma. “I cento metri”. “E noi italiani?”. “Be’, è tanto se possiamo sperare un piazzamento in batteria”.
Buzzati entra negli spogliatoi, ha “la strana sensazione di emanare qualcosa di magnetico, una specie di magico salvacondotto”, lo guardano “con facce stralunate”, soprattutto quando nega di essere un allenatore e anche un massaggiatore e si presenta alla partenza. “E che cosa fa quel vecchio pazzo? Fermatelo! E’ una vergogna”. Ma “non fanno in tempo”, “mi chino con le mani a terra nella classica posizione”, “al mio fianco intravedo un negro, lucido, con dei muscoli che non finiscono più”, “il colpo di pistola di confonde con l’ululato di indignazione e scherno che prorompe dalla folla”.
Buzzati è sorpreso: “Il terribile negro mi schizza avanti come una palla di fucile. Nello scatto di partenza mi trovo certo svantaggiato, sfido, è la prima volta che provo in vita mia”, “ma appena mi son rimesso in piedi, due invisibili mani, un vento, una catapulta, o qualcosa del genere mi scaraventano avanti”, “nelle mie gambe sta accadendo una sorta di deflagrazione atomica. Non ne ho più due soltanto, ne ho quattro, otto, un centinaio, scatenate”. Finché “il muggito di esecrazione e beffa si è trasformato in un suono che non ho mai sentito prima: come lo scroscio di una cattedrale immensa che si sfasci”. E…
L’antologia si intitola “Le Olimpiadi racconta” (256 pagine, 2500 lire, 15 euro su eBay). E molto rimane fra le pagine chiare e le pagine scure, a cominciare da quelle di Buzzati: “La bandiera, la corona d’alloro, le trombe, la testa che gira nella sublime vertigine del trionfo, mani che si tendono, che mi toccano, mi palpano le gambe prodigiose, crepitìo di flashes, ronzìo di macchine da presa, donne stupende che mi divorano con occhi di fuoco, il fantasma del barone De Coubertin che mi bacia in fronte”
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