L’unico che non fosse d’accordo con Bartali. Per azzittire chi sussurrava di quanti ebrei avesse salvato procurando documenti falsi, Gino spiegava che “il bene si fa ma non si dice” e aggiungeva che “le medaglie non devono appendersi all’uniforme ma all’anima”. Invece lui era convinto che “le gesta di un eroe dovessero essere di dominio pubblico, ad eterno esempio”.
Andrea Locascio aveva sempre desiderato essere un eroe. Quello che si prodiga e si sacrifica per gli altri. E aveva desiderato essere un eroe fin da piccolo. Quando aiutava il padre nel panificio, quando studiava le poesie di Ungaretti a memoria, quando consegnava il pane in bicicletta, quando segnalava e fermava ladruncoli in azione, quando aiutava vecchiette e ragazzine derubate sulla strada, quando interveniva a sedare risse o scazzottate, quando difendeva i suoi amici dai bulli. La sua fame di giustizia sembrava insaziabile.
In questi giorni di Tour de France viene facile, quasi naturale, quasi inevitabile, ripensare a Bartali. Tanto più facile leggendo “Tuttecose” di Antonio Losacco (Marcianumpress, 214 pagine, 18 euro), una raccolta di 17 racconti, fra cui quello su Andrea Locascio, e poco importa se questi racconti gli appartengano nella realtà, come sembra, o nella fantasia, come potrebbe anche essere, senza nulla togliere all’opera. Storie di vita, storie cominciate in un paesino del sud, moltiplicate emigrando al nord e viaggiando nel mondo, storie di mare e terra, di moto e anche bici: “Sentivo il suono delle cartoline attaccate al telaio della bicicletta con una molletta da bucato, la domenica pomeriggio dopo pranzo, quando veniva a chiamarmi per scendere in cortile a giocare. Ed ogni pomeriggio era una nuova avventura, un nuovo pericolo e, per me, quasi sempre, una nuova cicatrice”.
Non sarà un capolavoro di quelli da studiare al liceo, “Tuttecose”, ma è un libro pieno di umanità. E a me è piaciuto perché è ricco di affetto, semplicità e anche umiltà, perché è scritto in prima persona ma senza alcuna, mi sembra, smania di protagonismo, anzi, e perché ciascun capitolo è dedicato, in fondo, a qualcuno. E uno dei capitoli, “La storia più difficile”, riguarda suo fratello Alberto. Cancro, sei mesi, non era più lui. “Gli ultimi giorni non vedeva e non sentiva più. Le gambe robuste e forti da anni di atletica e bicicletta, anche sotto le tormente di neve, erano due grissini spezzati”.
Ecco. E’ così che anche qui c’è un’impronta di Bartali. E anche questo mi è piaciuto.
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