Monossido di carbonio. In questi giorni, attorno al Tour de France, non si parla d’altro che questo gas. Secondo alcuni sarebbe il propellente segreto per le prestazioni mostruose in salita dei migliori atleti del gruppo. Ma è davvero così?
Prima cosa, per sgombrare il campo da malintesi, la cosa più importante da sapere: questa metodica non è doping. È una cosa assolutamente lecita, difatti parliamo di scienza applicata allo sport.
La prima volta che si è sentito parlare di monossido di carbonio nel ciclismo è stato nel 2008. Aldo Sassi, l’allora responsabile del Centro Mapei aveva fatto una scommessa molto importante. All in, si potrebbe dire. Si erano infatti presi in carico il ritorno agonistico di un importante corridore italiano che arrivava da una pesante squalifica per doping. Sassi e la Mapei non potevano rischiare. Un errore sarebbe stato fatale per tutti.
Aldo allenava questo atleta di livello e al contempo lo sottoponeva a costanti test interni per verificare l’eventuale manipolazione del sangue. Il test forse più importante da questo punto di vista era proprio fatto impiegando il monossido di carbonio. Serviva per valutare la massa emoglobinica. Fatta questa premessa, cerchiamo di capirne di più sulla situazione attuale.
«Ogni anno alla partenza del Tour si svolge un congresso rivolto a medici, allenatori e nutrizionisti – ci spiega un preparatore di un team presente al Tour, che per ragioni di riservatezza non se la sente di apparire ma ben volentieri si presta per farci capire -. Quest’anno a Firenze la prima relazione è stata proprio su questo tema e devo dire molto interessante. A parlare è stato Daniele Cardinale, capo del dipartimento di fisiologia e performance della Confederazione sportiva svedese e ricercatore alla scuola svedese di scienze dello sport. Cardinale ha portato a Firenze un caso di studio particolarmente interessante legata a 5 anni di studio sull’altitudine e gli allenamenti in ipossia. Ha sottoposto tre gruppi, ognuno di 20 di corridori semiprofessionisti, a tre metodologie diverse di allenamento: un gruppo in altura, uno in altura simulata e uno con altura e monossido di carbonio».
Che cosa è emerso?
«Che il terzo gruppo, quello appunto con cui è stato utilizzato il monossido, ha avuto un incremento della massa emoglobinica del 3-4% rispetto agli altri gruppi dello studio. Significa che le prestazioni hanno un miglioramento».
Di quanto?
«Questo non è al momento possibile stabilirlo perché nello studio non si parla per esempio del tempo di somministrazione. Di certo non significa che la prestazione dell’atleta migliora della stessa percentuale. Ribadisco: si parla di incremento della massa emoglobinica rispetto agli altri gruppi di studio. Nello studio non si parla neppure degli eventuali danni correlati».
Si tratta di doping?
«Assolutamente no. Allo stato attuale delle cose la Wada sta studiando la situazione ma non ha preso provvedimenti su questa metodica. La Wada, però, vieta nel suo regolamento l’utilizzo di metodiche o sostanze che modificano la massa emoglobinica. Tra i “marginal gain” permette l’utilizzo dell’ossigeno, gas che però non porta variazioni ematochimiche».
Vingegard e Pogacar ne hanno ammesso l’uso solo per i test, la Visma pare addirittura che lo utilizzi da quattro anni. C’è un test per rintracciare l’utilizzo?
«No».