Era “piccolo e rachitico”. Così “fragile ed emaciato che finisce ben presto con l’abituarsi a essere osservato dalla gente con un misto di pena e commiserazione”. Poi “traduce questi sentimenti gentili ma patetici in un attestato di forza”. E comincia a misurarsi con dei giganti misteriosi: “le montagne che lo circondano”. Scalatore. Scalatore rivoluzionario. Per tecnica, strategia e resistenza disumana. Come quella che “gli permette di avere la meglio sulla via Cassin sul Pizzo Badile in quattro ore – quando la media di quegli anni era di tre o quattro giorni – e dopo aver pedalato per 240 chilometri per raggiungere la montagna, perché sprovvisto di soldi per il treno”.
Hermann Buhl, austriaco, scalatore a piedi verticale, ma anche pedalatore in bici orizzontale, è uno dei protagonisti di “Nanga Parbat” (66thand2nd, 128 pagine, 15 euro), che Orso Tosco dedica all’ossessione per la montagna nuda e sacra, un ottomila (8126) nel Kashmir in Pakistan, “ragione di vita e ragione di morte”, che ha attirato i destini non solo di Buhl che lo conquistò, ma anche di Albert Mummery che lo concepì, del tedesco Willy Merkl che ci provò, dei fratelli Reinhold e Gunther Messner che si persero, di Nives Meroi che ebbe il coraggio e l’onestà di rinunciarci a un niente dalla sommità, del polacco Tomasz “Tomek” Mackievicz che si persuase a restare per sempre lassù… Alpinismo, è vero, e non ciclismo, eppure il senso della salita, dell’arrampicata, della scalata, delle montagne più o meno nude e sacre, è comunque quello.
Identica la passione di Buhl a quella di un Gaul o di un Pantani: “Va rintracciata nella libertà, nella libertà assoluta che riesce a trovare soltanto lassù”, “un modo per ristabilire i valori essenziali della vita, valori che il mondo e la società tentano sempre di stravolgere e inquinare, e che invece l’alta quota è in grado di formulare con chiarezza assoluta”. Identica l’ossessione di chi si misura sulle pareti e di chi lo fa sui tornanti: “L’ossessione, infatti, è la forma d’amore più pura. La meno ragionevole, la più invivibile, ma anche l’unica in grado di modificare esistenze apparentemente consolidate in un battito di ciglia. E come tutte le forme d’amore più pure, è così intensa da risultare contagiosa”. Identiche le sensazioni di chi procede verticale o rotondo: “Quando respirare diventa una faccenda complicata, il silenzio è l’unica strategia di autoconservazione”, “i loro respiri affannati, i denti contratti nello sforzo e il movimento dei loro corpi, ma poche, pochissime parole”, “storie di ostinazione e rivalsa”.
Orso Tosco è, proprio come Pantani, uno scalatore che viene dal mare (lui da Ospedaletti, Liguria). Il suo “Nanga Parbat” è una canzone d’amore. D’un amore descritto, ricordato, ragionato e, come tutti gli amori, sofferto.
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