A Valentino Gasparella la vittoria nel Trofeo Gardiol spalancò i cancelli del cielo: “Guido Costa, il commissario tecnico della pista, mi chiese perché non restassi a Milano. E mi spiegò che avrei potuto fare la riserva ai Mondiali. Quell’anno l’Italia avrebbe trionfato con Giuseppe Ogna fra i dilettanti e Antonio Maspes fra i professionisti. Un giorno tentai di stabilire il record nei 500 metri lanciati. E lo stabilii: 29”80 il tempo, 60,402 chilometri all’ora la media. Treno, corriere, bici, tornai al mio paese e mi stupii: possibile che la gente – la mia gente – non mi dicesse niente? Eppure ero il nuovo primatista mondiale”.
Formidabili quegli anni, Gasparella. I personaggi: “Severino Rigoni, il direttore sportivo della Padovani: una sera venne a Schio perché andassi da lui, la Lanerossi mi vendette per venticinque tubolari, però specialissimi da strada, sapendo che sarei stato valorizzato per la pista. Rigoni sapeva comandare, un po’ come un padre e un po’ come un papa: ‘Si arrangia, sa fare’, diceva a chi gli chiedeva quali consigli mi avesse dato prima di una semifinale dei Mondiali. Tano Belloni, l’Eterno Secondo, era il direttore del Vigorelli: cappello texano in testa, scarpe di vernice nera ai piedi, sorriso dentale e racconti avventurosi. Pesenti, non tanto Guglielmo, che gareggiava con me e contro di me, ma Antonio, suo padre, che aveva vinto il Giro d’Italia del 1932, e che nella sua bottega a Bergamo tirava i raggi. Tullio Campagnolo, corridore e poi meccanico e poi industriale, geniale inventore, che prendeva le misure – ruote, catena, cambio, fili – in mezzo alla strada”. E le bici: “Il 24 davanti e il 7 dietro, ma siccome si montava la catena con il passo Humber, bisogna raddoppiare, il 24 era un 48, il 7 un 14. Poi, grazie a Campagnolo, passai al 50 davanti. Avevo uno scatto bruciante, tanto da bruciare, da strappare i tubolari, che erano bianchi e pesavano centonovanta grammi, e le loro fettuccine leggere”.
Formidabili veramente quegli anni, Gasparella. Le sfide: “Finale del grand Prix di Parigi nel 1958. Sante Gaiardoni, l’astro nascente. Fortissimo, ma non così freddo nel gestire una finale. Notai che la sua bici montava una ruota posteriore più bassa. Partii in testa, cominciai piano se non pianissimo, lo portai in alto su una curva, sentii che con il pedale grattava la pista, allora lo portai più su, e sentii che grattava ancora di più, e allora lo portai ancora più su, lui grattò, stavolta la pedivella fece leva e lui cadde. Gaiardoni si rialzò, cambiò la ruota e ripartimmo, io in testa, ricominciai piano se non pianissimo, lo riportai in alto su una curva, sentii che con il pedale grattava la pista, allora lo riportai più su, e sentii che grattava ancora di più, e allora lo riportai ancora più su, lui grattò, anche stavolta la pedivella fece leva e lui ricadde. Gaiardoni si rialzò, cambiò la ruota e ripartimmo, io in testa, ma stavolta lui si mise subito davanti, stando basso, in volata rimontai e vinsi”. E i duelli: “Antonio Maspes, il padrone. Per carattere, per personalità, per autorevolezza e per autorità. Milanese, intelligente, ruffiano. Insieme nella Ignis, contro in pista. Ancora il Gran Prix di Parigi, stavolta nel 1962. Mi ero qualificato battendo il francese Michel Rousseau e Gaiardoni. In finale affrontavo Maspes e Enzo Sacchi. Maspes ci chiamò: cosa facciamo? Gli risposi: la corsa. Maspes ci provò: ma se… Risultato: primo Maspes, secondo io, terzo Sacchi”.
(fine della seconda puntata – continua)
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