L’altro giorno è stato visto fuori in bicicletta. Nulla di strano se non fosse inverno e soprattutto se non avesse ottantotto anni e mezzo. Ma al cuore non si comanda. Tantomeno a quello di un innamorato della bici come Valentino Gasparella.
Gasparella? L’oro olimpico nell’inseguimento a squadre ai Giochi di Melbourne nel 1956? Gli ori mondiali nella velocità nel 1958 e nel 1959? Il bronzo olimpico nella velocità ai Giochi di Roma nel 1960? Lui. Proprio lui. Gasparella.
“I re dello sprint – scriveva Mario Fossati, cantore dell’epopea della pista – sono pianeti che appartengono al passato”. E ancora. “Gli aristocratici del muscolo – specificava Fossati – non avevano soltanto il merito fisico: erano anche dotati di intelligenza, acume tattico, di fulminei esasperati riflessi”. E Gasparella era uno di questi pianeti.
Isola Vicentina, 30 maggio 1935: “Papà Lino, idraulico al Comune. Mamma Teresa, casalinga. Quattro figli, due maschi e due femmine, io il terzo. Elementari a Isola, poi le serali a Vicenza, l’Istituto Rossi per periti industriali, dove cercavo di imparare a non fare il contadino. Intanto il lavoro: idraulico, eredità familiare, da garzone, con il carretto, e sopra il carretto, treppiedi e rubinetti”. E intanto anche la bici: “Una bici da donna, quella della mamma. All’uscita dalla Lanerossi, uomini e donne – operai e operaie – tornavano a casa in bici. Li aspettavo là fuori. E nascevano gare spontanee: chi scattava, chi inseguiva. Io inseguivo. E nessuno mi staccava. ‘Se non ti compri la bici – mi giurarono – te la compriamo noi’”. Finché un giorno “andai a Malo nella bottega di Leonildo Costeniero, un artigiano, quasi un artista, mi presentai, gli dissi ‘vorrei una bici da corsa, proverei a correre, una o due volte, poi deciderò se continuare o no’, e aggiunsi ‘però ho poche lire, le do quello che ho, ma le prometto che se guadagnerò qualcosa glielo porterò’. Aldo mi guardò, si fidò, mi consegnò una delle sue bici Malino, e visti i risultati, alla fine dell’anno mi condonò il debito”.
Valentino, a dispetto del nome, andava forte: “La prima vittoria a Monticello Vicentino nel 1954. Era un circuito, su e giù per le colline del vino, rimanemmo in tre, io, Renato Busatta e un fratello di Cleto Maule. Ce la giocammo in volata. Vinsi. E mi entusiasmai. Perché già sapevo quanto fosse difficile vincere e saper vincere. Avevo diciotto anni, al secondo anno fra gli allievi, indossavo la maglia amaranto con una fascia orizzontale bianca e la R di Lanerossi. Nel 1955 andai da mio padre e solennemente gli comunicai ‘io non lavoro più, voglio correre in bici, e tutti i soldi che guadagnerò li darò a te’. E mio padre, seppure a malincuore, accettò. Quei soldi, a casa, da idraulico o da corridore, facevano comunque un gran comodo”.
E Valentino andava forte anche in pista: “Nel 1954 mi ero qualificato per le finali del Trofeo Gardiol, una specie di campionato italiano, a Milano, al Vigorelli. Nel 1955 prima mi aggiudicai il Medaglia Gardiol, poi il Trofeo Gardiol, sempre al Vigorelli. A Milano, la mia prima volta a Milano, ci ero andato in treno, la mia prima volta su un treno, con una Dei da corsa, nera, usata, la mia prima volta con una bici così bella. Il direttore sportivo della Lanerossi, Giovanni Casarotto, mi aveva dato dei soldi e mi aveva detto che vicino al Vigorelli avrei trovato da dormire. Spaesato e un po’ impaurito, scesi alla Stazione Centrale, pedalai fino a Via Solferino, di fronte alla sede del Corriere della Sera, dove mia zia Anna faceva la portinaia. Che cosa fai qui?, mi domandò. Corro in bici, risposi. E le chiesi se avesse un posto per dormire. Liberò lo sgabuzzino della portineria dai pacchi e fece su un lettino”.
(fine della prima puntata – continua)