Continua a suscitare interesse, ammirazione frammista a pure meravigliata sorpresa, un assai recente post su Facebook che pone in evidenza e, in un certo senso certifica, la valentia, anche in bicicletta, di Alessia Andretto, orgogliosa sarda di Arzachena, splendida località del nord dell’isola.
Nell’ambito delle corse rosa la giovane signora Alessia, che non si fa problema a dichiarare i suoi quarant’anni, opera professionalmente nella struttura di RCS Sport e, da quasi tre anni, specificamente nella sezione ciclismo, occupandosi in special modo degli accrediti del “resto del mondo” e molto altro, in affiatata coppia con Elena che si occupa di quelli “stampa e media vari”, oramai veterana in tema. Sono funzioni delicate e pure impegnative soprattutto al Giro d’Italia stante le molteplici, e pure pressanti, talvolta assillanti, richieste quotidiane di varia provenienza che entrambe gestiscono comunque con garbo e pazienza.
Torniamo all’impresa, come Alessia Andretto ha orgogliosamente battezzato il suo straordinario fine settimana in bici, in Valtellina, accompagnata dal padre Fausto – e il nome è già rivelatore di una consolidata, antica, passione per le due ruote presente nella famiglia Andretto – che il papà ha sempre alimentato sulle ventose coste sarde mentre Alessia è l’unica, di quattro fratelli, che ne ha seguito l’esempio dapprima in modo ludico e, più recentemente, con impronta accentuata, quasi da “corridora”vera.
Avrà forse influito la contiguità in ufficio con Stefano Allocchio, ai suoi bei dì definito il Rik van Looy italiano e poi anche auto paragonatosi a Mark Cavendish. A tale proposito la causa per appropriazione indebita di titolo da parte di Cavendish è ancora in corso… Ora Stefano Allocchio pedala, quando non è sull’ammiraglia della direzione corsa, soprattutto nella pianura lombarda, ai piedi delle prime Prealpi del comasco e del lecchese, evitando accuratamente le salite però. Anche Natalino Ferrari, altro loro collega, è da tempo un assiduo cicloamatore, sia su strada, sia nel ciclocross. Ora la loro “leadership” in materia, in ambito interno di RCS Sport, (altri vari collaboratori hanno titoli ciclistici, declinati al passato, di primo rilievo) potrebbe essere messa a rischio da Alessia Andretto, “sarda testarda”, anche sui pedali, come si autodefinisce con orgogliosa convinzione e buona ironia lei stessa. Il suo “driver” di riferimento nei trasferimenti è Oscar Capatti, esponente della Ciclistica Molinello di Cesano Maderno.
Consigliamo di trovare e leggere il post ben scritto da Alessia e ritrovabile su Facebook con interessanti e spiritosi spunti espressi con linguaggio diretto, esplicito che racconta il suo fine settimana fra i monti dell’alta Valtellina. Infatti, quale aperitivo alle Stelvio da Bormio, Alessia e papà Fausto si erano fatti la gamba, come si dice in termini ciclistici, arrampicandosi, il giovedì, ai laghi di Cancàno.
Vogliamo però ricordare ad Alessia che lo storico valico dello Stelvio, a m. 2758, fu inaugurato con la strada progettata dall’ingegner Carlo Donegani (già “autore” anche del passo Spluga), nel 1825, alla presenza dell’imperatore austriaco, prevede pure il versante altoatesino con i suoi 48 tornanti a spirale, con pendenza maggiormente accentuata rispetto a quella della parte valtellinese. Una direttrice di traffico e collegamento diretto fra Milano e Vienna con carrozze a cavalli che funzionava anche d’inverno grazie al duro lavoro degli spalatori che trovavano ricovero nelle case cantoniere.
E, siamo certi, che nel mirino ciclistico di Alessia, lo “Stilfser Joch” – questo è il nome del passo dello Stelvio nella lingua tedesca, c’è il completamento della sua recente impresa affrontando “Re Stelvio” anche dal versante dell’Alto Adige.
E intanto pedala con buona assiduità, compatibilmente con gli impegni lavorativi, sulle strade appenniniche fra Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna, dove abbondano comunque le salite, anche impegnative.
La storia sportiva ciclistica dello Stelvio è ben fissata nella leggenda delle due ruote da quando fu affrontato per la prima volta durante il Giro d’Italia 1953. Era il primo giorno di giugno e nella penultima tappa della corsa rosa, la Bolzano-Bormio, Fausto Coppi firmò una delle sue grandi imprese solitarie staccando sui tornanti altoatesini la maglia rosa, l’elegante e forte svizzero Hugo Koblet, giungendo solo a Bormio con 2’18” su Pasqualino Fornara, secondo. Vinse così il suo quinto Giro d’Italia, prologo alla maglia iridata su strada che avrebbe conquistato a fine agosto a Lugano, sempre con arrivo solitario.
È stato il primo capitolo di un appassionante, talvolta epico, romanzo con altre molteplici pagine di straordinario rilievo fissate negli annali del grande ciclismo e, soprattutto, nel cuore degli amanti delle due ruote, del ciclismo verticale in particolare.
E un pezzettino, seppur piccolo, infinitesimale, Alessia con papà Fausto lo sentono, giustamente, anche loro.
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