Tu eri coppiano o bartaliano?, gli chiede Guccini. Bartaliano, gli confessa Cerami. No, no, ribatte Guccini, io coppiano.
Francesco Guccini, il cantautore e scrittore, e Vincenzo Cerami, lo scrittore e sceneggiatore. Guccini di Modena, poi subito a Pàvana, Appennino pistoiese ai confini con l’Emilia, e Cerami di Roma, all’Alberone, prima, e a Ciampino, poi. Da piccoli, uno di campagna e l’altro di città. L’anno di nascita (il 1940) e tanti amici in comune (uno per tutti: Roberto Benigni), Guccini e Cerami non si erano mai conosciuti prima di farlo su un libro, “Storia di altre storie” (Piemme, 144 pagine, 10 euro), del 2001. Un dialogo in cui si raccontano, si confrontano, si regalano.
Cerami bartaliano, pentito, e Guccini coppiano, sfegatato. E se Cerami non rivela le ragioni della sua amarezza ciclistica, Guccini è travolgente. La Cuneo-Pinerolo al Giro d’Italia del 1949: “Quando la radio raccontò della sua impresa all’Izoard con quelle famose parole ‘c’è un uomo solo al comando, la sua maglia è bianca e celeste, il suo nome è Fausto Coppi’, corsi in strada con i miei amici. Eravamo impazziti”. Le corse e i corridori con i tappi: “I ciclisti li facevamo crrere anche noi, con i ‘coperchini’. I coperchini da bibita sono stati l’oggetto tipico della mia infanzia: sono quelli che a Milano si chiamano ‘tollini’, a Parma i ‘Sinalcol’, perché probabilmente c’era una bibita spagnola che si chiamava così… per ogni città c’era un nome. A Modena, per l’appunto, erano ‘coperchini’. I coperchini sono stati una cosa tremenda. Si metteva dentro al tappo la figurina di un corridore ciclista, per me Coppi, naturalmente, e si facevano le corse”. La tecnica: “Gareggiavamo sui marciapiedi delle case e i genitori non capivano che per tirare in maniera acconcia dovevi praticamente sdraiarti per terra, il che comprometteva l’abbigliamento: se uscivi vestito come il Piccolo Lord, i danni erano assicurati. Anche se non siamo mai andati in giro vestiti così bene”. E poi c’era la bici, ma quella vera: “Che all’occorrenza si trasformava in una motocicletta: bastava piegare una cartolina, attaccarla con una molletta da biancheria e, girando, scoppiettava, così ci pareva di fare le gare in moto”.
E così si spazia dalle Vespe (Cerami: “Avevano i cosciotti arrotondati”) al Maggiolino (Cerami: “Né più né meno che un elmetto tedesco”), dal calcio (Guccini: “C’erano cose che conoscevamo tutti, in campagna e in città. Bacigalupo, Ballarin, Maroso… per esempio: la formazione del Grande Torino”) all’America (Guccini: “Io l’ho vista arrivare in Italia nel ’44, e innanzitutto ci stupiva l’enorme quantità di roba che questi avevano. E che lasciavano. I miei nonni hanno acceso il fuoco con i fiammiferi lasciati dagli americani fino alla fine degli anni Cinquanta”).
Guccini e Cerami hanno sempre lavorato frugando nella memoria. Cerami: “Quando si è passati da un’Italia a un’altra, da una luce a un’altra, dal bianco e nero al colore, dall’Italia in cui si correva in bicicletta e scappavano le galline a quella di oggi. Ci sono episodi, piccole storie che sono in grado di raccontare un’epoca meglio delle analisi sociologiche”.
“Storia di altre storie” mi è magicamente apparso in un book crossing. Intanto Cerami, da quasi 10 anni (il 17 luglio), non c’è più. Ma le sue memorie, sì, ancora, sempre.
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