Le dobbiamo l’Elettrotreno di Forlì (Ercole Baldini) e il Pirata (Marco Pantani), Gabanì (Arnaldo Pambianco) e Gaibèra (Mario Vicini), Parulè (Glauco Servadei) e Paruch (Aldo Ronconi), e anche Pipaza (Giuseppe Minardi). Le dobbiamo il Giro di Romagna e – siamo al confine – la Coppa Placci, la Nove Colli e il Memorial Pantani, il Gran premio di Castrocaro e tappe su tappe del Giro d’Italia.
Le dobbiamo storie come quella di Michele Gordini, detto Bucàza, che un secolo fa, erano gli anni Venti del Novecento, partecipò a sette Giri d’Italia e a tre Tour de France, in una tappa pirenaica del Tour andò in fuga, viva la fuga!, guadagnò fin quasi un’ora di vantaggio, poi fu ripreso, ma passando primo sui valichi collezionò punti e conquistò la classifica finale riservata agli scalatori. Gordini deteneva un altro primato: diciassette figli, fra primo e secondo matrimonio, la prolificità gli valse un premio in denaro del governo fascista – mille lire – che lui orgogliosamente rifiutò.
Romagna mia, Romagna nostra. Si pedala per tornare a una normalità che non potrà mai essere uguale. Ma i romagnoli sono speciali. Hanno una gran voglia di vivere. E di vivere sorridendo.
L’altro giorno, in un book crossing - quegli incroci di romanzi, quei crocicchi di saggi, quei parcheggi di enciclopedie, quelle oasi di poesie, il tutto fuori catalogo e fuori commercio – è emerso il libro “L’Italia dei peccatori” di Enzo Biagi (Rizzoli, 1991), emiliano (di Lizzano in Belvedere, Appennino bolognese) ma consapevole dello spirito romagnolo. E, me lo sentivo, non poteva mancare una citazione su Fausto Coppi. Infatti. Ma non a proposito di peccati, bensì di scherzi, arte in cui i romagnoli sono maestri. Biagi elencava alcuni “episodi minori”. Pagine 47 e 48.
Il primo episodio: “La storia di quel fascista al quale, mentre era ubriaco, fu ingessato il braccio nel saluto romano, e per un mese andò in giro convinto di essersi rotta una spalla”. Il secondo: “La storia di un ponte sul Reno inaugurato mezz’ora prima dell’ora fissata per la cerimonia da un gruppo di ragazzacci travestiti da autorità”. Il terzo, eccoci: “Lo scherzetto fatto agli organizzatori di un Giro dell’Emilia da due studenti vestiti da corridori ciclisti e accompagnati dalle rituali vetture del seguito che, sbucando da una nascosta stradetta, si inserirono nella corsa precedendo di oltre mezz’ora campioni come Bartali e Coppi, fra lo sbigottimento di folle di sportivi. Se non li fermavano all’ingresso del velodromo, erano anche disposti a fare il giro d’onore”.
L’origine dei due studenti non è precisata, ma è facile, e bello, immaginarli romagnoli. Biagi scriveva: “In Romagna tutti i miti vengono ricondotti a concrete e comprensibili dimensioni: prima che alle idee si guarda agli uomini. Al loro carattere, all’esempio che offrono, alle loro verità, e anche alle debolezze”.
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