La prima corsa gli insegnò che cosa fosse il ciclismo: una caduta mentre era da solo vicino al traguardo, con la frattura della clavicola sinistra, un classico. La seconda corsa gli insegnò come dovesse essere un corridore: un’altra caduta, un’altra frattura, stavolta della clavicola destra, un’indesiderata par condicio. Ma come tutti gli abruzzesi, “forti e gentili, ma anche duri come le rocce, quando si tratta di ragionare”, invece di desistere, lui insistette, s’iscrisse a un gruppo sportivo, quello della Enal, partecipò a una gara riservata ai nuovi iscritti, e la vinse. La prima di una lunga serie di corse. Da allievo, da dilettante, da professionista.
Alessandro Fantini da Fossacesia, la culla del Giro d’Italia 2023. “Fantini e Bartali” è la graphic novel di Ernesto Carbonetti per la casa editrice Carabba (108 pagine, 25 euro). Il racconto di una vita a pedali. Professionista nel 1954, aveva 22 anni, i primi sei anni nell’Atala, gli ultimi due nella Gazzola, una ventina di vittorie, fra cui sette tappe al Giro e due al Tour, la maglia rosa, il secondo posto dietro a Charly Gaul nell’apocalisse del Bondone nel Giro 1956: “Un gigante alto uno e sessanta”. La storia di Fantini è narrata dall’amico Simone Di Giovanni, barista a Fossacesia e amico di Sandrino (così, affettuosamente, fra gli amici), passa attraverso Gino Bartali, che di Fantini sarebbe diventato “il maestro” (“Mio padre diceva che nella vita puoi scegliere di essere un martello o un chiodo”), e anche attraverso Fausto Coppi, che più volte aveva cercato di portare Fantini nella propria squadra (“Il tuo allenamento deve andare oltre il fiato, i muscoli. Deve passare per il cervello”). Fino a quel tragico 5 maggio 1961 quando, al Giro di Germania, dopo aver vinto una tappa e conquistato la maglia (“Sono in forma, teso come una corda di violino, muscolarmente un chiodo”), per l’ennesima volta Fantini cadde e stavolta non si rialzò. Il povero Fantini, come da allora il mondo del ciclismo lo avrebbe sempre ricordato.
Fantini con le sue lotte famigliari (“Mentre i suoi genitori si attaccavano a ogni pretesto per tenerlo in casa. Troppi rischi con quella bici scassata che si era comprato facendo i suoi piccoli sacrifici”), Fantini con il suo talento e il suo allenamento (“Le braccia modellate dal lavoro manuale e le gambe dalle strade, malridotte com’erano”), Fantini e la sua terra (“Ho sempre adorato questo tratto di costa, fin da bambino. Spero che rimanga così selvaggio, bello da togliere il fiato”), Fantini e il suo mare (“Stare sulla spiaggia a guardare l’alba, bagnarsi al tramonto”), Fantini e i suoi dubbi (“Stanchezza, dolori, sfiducia”), Fantini e la sua rinascita (“Sono un uomo nuovo, invece, sarà stata la famiglia, ora sono un altro”), Fantini e quell’appuntamento mai rispettato proprio con Bartali (“Mi dovete promettere che quando torno ci facciamo un’altra spaghettata sul trabocco”). E i disegni, belli davvero.
Solo due anni fa Fantini è tornato a casa, tomba e monumento, al cimitero di Fossacesia. Adesso, grazie a “Bartali e Fantini”, è tornato fra tutti noi.