GATTI&MISFATTI. POZZOVIVO E I BABY-RITIRI, GLI OPPOSTI ESTREMISMI

TUTTOBICI | 27/03/2023 | 08:20
di Cristiano Gatti

Stranissimo, l’inverno che andiamo a chiudere. Almeno per me, re­stano eclatanti le parole e gli atteggiamenti di tre atleti mol­to diversi e lontani tra loro, ma accomunati dal filo rosso di un malessere profondo. Esplicito, con nomi e co­gnomi. Da una parte l’eterno e immarcescibile Pozzovivo, che a 40 anni abbondanti proprio non si sente pronto a smettere, sentendosi invece prontissimo per gareggiare an­cora ad alto livello. Set­ti­ma­ne, mesi a cercarsi un contratto, allenamenti in solitudine, lo stress - e anche un po’ l’umiliazione - di non ricevere la giusta chiamata: quanto ba­sta per un chiunque dire sapete che c’è, grazie tante e saluti a casa, mollo tutto e vado a in­ventarmi la seconda vita. Niente, Pozzovivo ha ancora testa e cuore da corridore, per tutto l’inverno ha battuto lo stesso chiodo: cerco una squadra, mi sento integro, tra l’altro non è detto neppure che con il contratto in mano sa­rebbe l’ultima stagione. Mai dire mai, ho tutta una vita da­vanti...


Agli antipodi, due ra­gaz­zi giovanissimi e in­credibili che finalmente arrivano al professionismo, realizzando nel concreto il sogno di sempre, loro sì una vita davanti in tutto e per tut­to, ma proprio nel momento della massima soddisfazione si voltano di spalle e se ne vanno verso un altro domani. Senza bicicletta. Salutando, scrivono parole bellissime, tanto per dire quanto sono macerati, quanto ci hanno pensato, altro che ragazzini vi­ziati con la testa vuota dei nostri sabati sera. Mattia Pe­trucci, classe 2000, accasato Bardiani, spiega: «Le motivazioni sono tante, ma di base ho perso la felicità. In questi ultimi anni ho continuato, forse perché ero troppo dentro per uscirne, ma ora non sono più in grado di vivere tutto questo, sul più bello, raggiunto il professionismo… Non ho trovato il mondo che speravo, e tutti i rischi e le difficoltà non generano felicità, ma soltanto altri problemi. Forse avrei dovuto accorgermene prima, ma è ora che posso cambiare la mia vita. Mi dispiace deludere delle persone, ma si vive una volta sola. E io ho capito cosa vo­glio dalla mia vita».


A ruota, in questa storica fu­ga, Gabriele Benedetti, anche lui classe 2000, il professionismo assaggiato nel 2022 con sei corse appena. La parole sue: «Ho passato mesi difficili, in cui non ascoltavo mai ciò che diceva la mia testa, in cui la paura di deludere gli altri era maggiore di tutto di quello che in realtà avrei vo­luto fare. Ma ad oggi voglio scegliere io e la mia scelta è quella di cambiare vita. Per­ché ho capito che non è più il mio sogno”.

Parlano di sogni e di vita. Tutti e tre, gli op­posti estremismi, l’anziano che proprio non ce la fa a scendere dalla bici e i due millenials che sono già stufi marci, nauseati e sazi. Naturalmente lascio ai tecnici allegare le motivazioni sul perché un anziano che viene da un’altra era e da altri me­todi non avverta i segni dell’indigestione, mentre i due ragazzini cresciuti con i nuovi metodi tra le giovanili si presentino al professionismo già saturi e schifati, vinti da un pessimismo e da un’apatia letali. A questo proposito, sul tema di come noi alleviamo i giovani ciclisti, segnalo le pa­role di Davide Cassani, tra tutte quelle lette e sentite si­curamente le più tecnicamente sensate e le più umanamente profonde.

Ma chi ha ragione, il vecchio che non ce la fa a smettere o i ragazzini che scappano prima ancora di cominciare? Ne ho lette veramente di tutti i colori. Come sempre tutti dimostriamo di essere bravissimi a vivere la vita degli altri, a in­segnare loro come si fa, anche se magari non siamo così fe­nomenali a vivere la nostra. Per quanto mi riguarda, pro­vo solo rispetto sincero per tutti e tre. Tutti e tre hanno ragione, nessuno ha torto e nessuno sbaglia, perché tutti e tre fanno la cosa migliore per sé. Che non è continuare o smettere, ma fare quello che ci si sente, guardarsi allo specchio e non mentirsi, inseguire anche con tanta sofferenza la cosa giusta. Non esiste il giusto assoluto e universale, lo stesso per tutti: il giusto è personale, ciascuno ha il suo. La cosa fondamentale è non raccontarsela, non fare i furbi con se stessi, non imboccare scorciatoie e scappatoie. Certo si fa prima dicendo che Poz­zo­vivo non accetta la vecchiaia, che non riesce ad alzare la testa, che sfocia nel patetico, e dei due ragazzini potremmo dire che confermano la po­chezza della loro generazione, incapace di sopportare le fatiche, le musate, il dolore, i fallimenti (e pazienza se così co­munque li abbiamo fatti noi: i loro nonni usciti dalla guerra che non volevano più infliggere agli eredi le loro sofferenze, i loro padri - noi - che la fatica vorrebbero sbianchettarla dall’esistenza, inventandosi di tutto per arrivare alla settimana cortissima di 4 giorni e alla pensione non do­po i 60 anni, oltre che menare i prof se il figlio non va bene a scuola).

La verità è che solo loro, come tutti, sanno dove sta la vera verità. Solo loro sanno se la propria scelta di vita è una coraggiosa presa di consapevolezza o un'inconfessabile menzogna. Ma chi cerca la propria strada, facendosi dolorosamente largo nella nebbia dei giorni, va solo ri­spettato e incoraggiato. L’unica cosa che conti è trovarla, quella strada.

da tuttoBICI di Marzo

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COMMENTI
Corretto ma c'è molto da approfondire
27 marzo 2023 10:39 Bullet
Articolo pesato e senza lasciarsi andare a facili conclusioni. Tra i due opposti a me non preoccupa Pozzovivo, anche se gli van fatti elogi per volontà e impegno, ma il fatto che ragazzi di prospetto in squadre italiane lascino dopo un anno. Non mi pare di sentire analoghi nelle squadre spagnole e soprattutto francesi che negli ultimi anni stan gettando le basi per tornare protagonisti con grandi investimenti sul territorio. Per me deve cambiare sia l'approccio dal basso dove si chiede troppo e subito che dall'alto con una federazione che deve iniziare a interessarsi delle singole squadre per far crescere talenti e non solo aspettare solo i risultati.

Ciclismo = Società
27 marzo 2023 13:14 Stefazio
Una bella analisi della società odierna. Senza schierarsi o dare una soluzione. Perché anche per quanto mi riguarda mi resta difficile dare un giudizio. Come Bullet però, vedo che questo problema (e mi riferisco ai giovani) riguarda soprattutto quelli italiani. E certamente non solo nel ciclismo, ma anche nella scuola o nel lavoro. I ragazzi ne sono le vittime, il problema è trovare le colpe ed i colpevoli. Cattivi maestri nei contesti in cui crescono (famiglie, scuola, società sportive)? Una società che ti dà tutto troppo presto e quindi ti toglie le motivazioni? Sono d’accordo con Bullet, il tema è enorme e probabilmente va al di là del ciclismo. Spesso mi capita di leggere quello che scrive un grande conoscitore del mondo giovanile come Umberto Galimberti (psicologo e filosofo) e nelle storie di Mattia e Gabriele ci trovo molte similitudini. A partire dalle incertezze, da quella strada che non riescono a trovare (o non vogliono trovare) perché il futuro non è più una promessa, ma una minaccia e quindi fa paura (in una giornata le notizie negative battono quelle positive 10 a 1). Meglio quindi vivere in un eterno presente di gratificazioni immediate anche se effimere.

differenze
27 marzo 2023 20:19 AleC
Pozzovivo è arrivato in un altro professionismo, dove giovanissimi come lui potevano crescere in un ambiente più familiare. Dove la professional era quella dimensione più familiare, più tranquilla, perchè le ambizioni erano inferiori: ma allo stesso tempo non eri in un buco nero da cui cercare di uscire prima possibile, perchè questo oggi sono le PRT salvo poche eccezioni. Di occasioni ce n'erano per lui, per Colbrelli, Ciccone e altri. E' cresciuto, aveva anche un grandissimo talento che solo la sfiga (o qualche limite di guida/stare in gruppo??) ha impedito di esprimere appieno.
Questi due ragazzi del 2000 si sono guardati intorno e hanno visto un altro mondo, dove se entri in una WT hai la pressione del risultato e/o del fare benissimo il gregario e ti controllano anche quanti peli hai sulle chiappe; e se entri in una PRT sei in un ambiente più tranquillo ma sai che la tua carriera sta imboccando un binario morto fatto di contratti da 30 k€ per faticare come un mulo, perchè i tuoi coetanei nelle WT stanno sicuramente crescendo più di te in un ambiente più organizzato, per quanto competitivo e non facile da sostenere.
Non so, mi sono spiegato?

AleC
27 marzo 2023 23:18 Bullet
Sai una volta c'erano i livelli e solo se dimostravi di meritare il massimo livello, cioè il professionismo, avevi tutto per fare il massimo e c'erano campioni e squadre a sufficienza per non avere i riflettori addosso e poter crescere. Ora già da junior bisogna mettere il padellone in salita e devi dimostrare lì perché hai già tutto mentre dopo al massimo puoi mantenere e non crescere come un tempo, ecco le differenze.

In bocca al lupo a chi a smesso
28 marzo 2023 12:33 Leonk80
Il Ciclismo è uno sport durissimo non tanto per le ore di allenamento, ma dover correre con la pioggia, il freddo, il caldo torrido ma soprattutto stare pochissimo a casa, sempre in giro e in albergo.
Aggiungete il rischio di cadere e farsi male e uno stipendio che se non sei un campione non è certo alto e devi strappare i contratti con i denti senza certezze, poi a fine carriera devi ricominciare da zero a 30-35 anni.
Insomma nessuno può biasimarli se si fermano ora, anzi.

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