La parole non aggiungono niente alla morte, proprio niente. Difatti alla morte si associa il grande silenzio. Ma quando muore un uomo come Umberto Inselvini, certe parole non si riesce proprio a contenerle e a soffocarle. Viene spontaneo esprimerle, benchè vane, benchè inermi. Almeno, è questo il senso, servono a fissare nella memoria qualcosa di alto e di lieve. A parziale consolazione, a parziale risarcimento del torto che subiamo, per non averlo più con noi.
Umberto era un uomo garbato. Era un uomo rispettoso. Era un uomo che sapeva ascoltare. Un uomo che parlava poco, ma forse sarebbe meglio dire il giusto. Umberto trasmetteva calma e tranquillità. Non si prendeva troppo sul serio, ma faceva tutto con molta serietà, come fanno i migliori.
Per tanti di noi era compagno di viaggio e amico, nelle sue squadre e soprattutto in Nazionale. Era uno dei ragazzi di Martini, poi dei suoi successori. Negli alberghi dei ritiri, ma anche nella baraonda degli arrivi, con lui pareva sempre di stare placidamente in un prato silenzioso, con un alito di vento, senza fracassi e frastuono, data la saggia imperturbabilità del suo modo d'essere.
Umberto conosceva bene il suo mestiere, comunque lo svolgeva sempre al meglio delle sue possibilità, che in fondo è il massimo risultato possibile. Tanti atleti potranno dire di lui le capacità manuali e prima ancora quelle spirituali, quelle che distinguono un abile manipolatore di muscoli dal fedele e insostituibile confidente del cuore.
Morire si deve, morire dobbiamo tutti. Ma morire a 64 anni resta un vero sopruso del destino. Umberto Inselvini era nel pieno degli anni, aveva ancora tanto da dire e tanto da fare. Quello che doveva essere in questa fase della sua vita, un esperto d'esempio ai giovani, può e deve comunque continuare ad esserlo. Chi comincia il suo mestiere, chi si affaccia nel mondo del ciclismo, dovrebbe sapere chi era e com'era Umberto. Anche solo per provare a somigliargli un po'.
Noi che lo sapevamo bene, lo piangiamo con dolore sincero. Ma anche lo conserviamo nel ricordo come una grande fortuna, la fortuna di averlo conosciuto, la fortuna di averci condiviso tante avventure, la fortuna di essergli stati un po' amici.
Diranno di lui le cronache che era un massaggiatore. Ma mai definizione fu più ristretta e ingiusta. Umberto era un modello di come dovrebbe essere la gente del ciclismo. Ma dopo tutto sbaglio anche a dire questo. Umberto era e resterà un esempio di come dovremmo essere tutti quanti, sempre, nel ciclismo e fuori dal ciclismo. Con i suoi limiti e i suoi difetti, Umberto era una magnifica persona, senza bisogno di farlo santo solo perchè se n'è andato.
Sì, è confermato, se ne vanno sempre i migliori, lui tra questi. E' triste farne a meno. Umberto non dovevi. Almeno, aspettaci col borsone sul traguardo della vita.