C’è Scavìss: “Duro come una scaglia di rovere, tutto nervi e voglia di bicicletta. Si issava sui pedali nei tratti in salita, mimando le oscillazioni rabbiose di Bartali”. E c’è Dodge: “Non aveva più di sedici anni quando un riccone di Lodi organizzò una sorta di olimpiade anzi di ‘poveriade’ a Costaverde. Nella gara di resistenza Dodge seminò giro dopo giro tutti i compagni con il suo passo regolare e possente, come quello di quei camion americani del secondo dopoguerra”.
C’è Coppi: “Sentivo che ‘l’uomo solo al comando della corsa’, il malinconico campione delle cime, l’eroe romantico inseguito dal destino, sarebbe stato ridimensionato dal vivo. Coppi era la favola. Ho desiderato incontrarlo solo quando la favola stava vivendo il suo epilogo, quando Coppi era ormai diventato lo struggente ricordo di sé”. E c’è Bugno: “Vince senza alzare le braccia e subito fa i complimenti agli avversari battuti. In salita e persino in pianura pedala sempre a fianco senza sfruttare la scia: un ‘ciolla’, direbbero i tecnici, ma i tifosi la prendono per lealtà guerriera”.
C’è la Bassa: “Adesso basta con la tua Bassa: i paisàn, le osterie, la nebbia, il fiume, le radici. Non è mai esistita la tua Bassa. Hai visto il Mississippi nella roggia Molina, i misteri del Pacifico nelle lanche dell’Adda, la vertigine dell’Everest sui collicelli di San Colombano”. E c’è la scuola: “Resta, invece, intatta la nostalgia della lezione, specialmente quella del primo giorno di scuola, con gli alunni del primo anno. Adolescenti ammutoliti nei banchi non ancora ammassati a testuggine, come sarà regolarmente negli anni successivi. Ti fissano, senti i palpiti della loro trepida curiosità”.
E c’è – soprattutto – Mariellina: Mariellina che “le stavano tutti dietro quand’era ragazza”, Mariellina che “le nostre biciclette appoggiate l’una all’altra, manubrio contro manubrio: un abbraccio che non osavo tentare”, Mariellina che “sì, ha detto Mariellina in un rapido soffio”, Mariellina che “mi sorrise subito, rizzandosi a sedere sul letto. ‘Guarirò’, disse. Tornò a casa Mariellina, con gli occhi tersi di maggio come se non li avesse attraversati neppure una nuvola”.
E c’è sempre Andrea Maietti. In “L’ultima fuga di Coppi e Mariellina” (Diabasis, 126 pagine, 16 euro) c’è la sua vita e la sua letteratura, i suoi ricordi di studente e le sue lezioni da insegnante, la sua passione per il ciclismo e il suo amore per Mariellina. Confidenze che sanno di nebbia, quella fradicia e fredda, invernale, e racconti che profumano di osterie, quelle vecchie di una volta, dove il vino si mesceva in scodelle di maiolica. “L’ultima fuga di Coppi e Mariellina” è il suo “Novecento”, il suo “Albero degli zoccoli”, perfino il suo longobardo “Pian della tortilla”. E con quel calendario scandito dalle corse e sillabato dai corridori, sublimato dalle salite e officiato sulla strada o alla tv. Un libro diario e anche un po’ gregario, un libro poetico e anche un po’ cinematografico, un libro che è una benedizione, un libro perfino breriano. “Te voeri ben, Majètt” e “Diu-te-benedissa”.
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