Egregio signor Vingegaard, lei certo non può saperlo, tanto meno gliene può importare qualcosa, ma a causa sua io mi trovo con una certa pesantezza di stomaco. Praticamente, per farla breve, dopo le prime tappe del Tour avevo promesso ai miei amici Pier Augusto Stagi e Angelo Costa che se Pogacar si fosse fatto battere da lei io mi sarei mangiato due asini vivi. Avevo cominciato con uno, dopo un paio di tappe ho voluto fare il tracotante e ho raddoppiato.
Così, eccomi qui con la digestione difficile – non le dico gli zoccoli -, ma con la consapevolezza di doverle anche delle sincere scuse. Il mio errore madornale nei suoi riguardi, in tutta sincerità, sta nel fatto di averla sottovalutata. Certo, seguendo le faccende di questo sport, avevo notato anch'io che lei l'anno scorso era andato fortissimo, arrivando secondo da gregario, unico a staccare già allora Pogacar.
Ma cosa le devo dire: sono caduto anch'io nell'errore del conformismo di maniera, quello per cui un conto è correre con la mente sgombra del gregario, tutta un'altra cosa gareggiare con la responsabilità del capitano. Ecco, in definitiva la mia mancanza di riguardo nei suoi confronti è tutta qui: ho pensato che una volta saltato per aria Roglic, lei non sarebbe riuscito a reinventarsi leader, leader di primo livello come richiede la vittoria di un Tour.
Invece. Invece lei giorno dopo giorno ha acquisito sempre più sicurezza e personalità , rifilando sberle a ripetizione, certo a Pogacar, ma in fondo anche a me che non vedevo avversari degni del magnifico sloveno.
Dunque, tante scuse e ancora di più tantissimi complimenti. Certo ha sfruttato come si deve una squadra superba, ma anche con una squadra superba arriva il momento in cui il solista deve trasformare il lavoro corale in capolavoro personale. Non riesce a tutti, non riesce sempre. A lei è riuscito nel modo più sublime e spettacolare. E soprattutto in un modo indiscutibile, che non lascia spazio a dubbi e recriminazioni. D'altra parte fa Cassazione la frase pronunciata dallo stesso Pogacar: “Cosa è successo? E' successo che ha vinto il più forte”.
Punto, e per una volta fine immediata delle discussioni. Oltre alle scuse e ai complimenti, però, voglio tenermi lo spazio minimo per dirle un'ultima cosa, questa: anche se per tanti invidiosi il Tour 2022 cade a fagiolo per iniziare la demolizione del fresco mito di Pogacar, per quanto mi riguarda continuo a ritenere Pogacar il più grande fuoriclasse nato da madre umana negli ultimi decenni. Tant'è vero che sarò molto sincero: tra lei Vingegaard, dominatore del Tour 2022, e il battuto Pogacar, io continuo a preferire nettamente Pogacar. Perchè mai? Semplicemente perchè lei continua nel solco di una tradizione che a me non garba tanto, cioè concentrarsi unicamente sul Tour, tutta una stagione in tre settimane di gara, benchè sia la più importante. Io anche dopo la sconfitta e le sberle continuerò ad amare Pogacar, perchè corre tutto l'anno, vince tutto l'anno, diverte tutto l'anno. Nelle corse in linea e nelle corse a tappe. In salita, a cronometro, in volata e pure in discesa (anche se ogni tanto cade...).
Senza offesa, egregio signor Vingegaard. Ma anche senza ipocrisie. Nel grande duello che torna a segnare il vero ciclismo, meglio il campione totale che il campione part-time. Così la vedo io, senza pretendere di avere ragione. Oggi incasso la bocciatura e mi mangio i due asini, ma niente mi fa cambiare gusto e idea: quando sulla faccia della terra, nelle corse in bicicletta, compare un Pogacar, io sono sicuro che presto o tardi, digeriti i due asini, ricomincerò a divertirmi. E' solo questione di tempo. Il tempo è galantuomo.
Lei, se le riesce, veda adesso di non sparire. Perchè un grande duello sia vero, non può esaurirsi sulle strade francesi. Di gente che si esprime tre settimane all'anno ne abbiamo già vista abbastanza. La bellezza del nuovo ciclismo, di questo ciclismo giovane e naif, è che non ha il braccino. Basta con gli stagionali che chiudono gli ombrelloni a fine luglio. Lo sportello Pogacar è aperto tutto l'anno, h24. E se una volta arriva secondo, non è una sconfitta. E' solo una vittoria in meno tra le tante che mette in banca, perdendo già il conto.