IL MENTAL COACH. MENTAL COACHING E SPORT DI RESISTENZA: FUNZIONA DAVVERO?

NEWS | 20/06/2022 | 09:35
di Gabriele Sola

La definitiva consacrazione del Mental Coaching in quanto metodologia che può fare la differenza tra vittoria e sconfitta si è avuta, poco meno di un anno fa, alle Olimpiadi di Tokyo. Accadde quando Marcell Jacobs, assoluta rivelazione dell’annata sportiva, nelle prime dichiarazioni post-medaglia d’oro ringraziò pubblicamente la sua mental coach attribuendole un ruolo determinante nel trionfo olimpico.


Quella testimonianza certificò al grande pubblico il valore dell’allenamento mentale nelle discipline che richiedono uno sforzo esplosivo e limitato nel tempo. È evidente, peraltro, che raggiungere lo stato psicofisico ideale a ridosso di una competizione di durata inferiore ai 10 secondi ne garantisce il mantenimento per il tempo necessario a compiere una performance ottimale.


L’«ALLENAMENTO DELLA TESTA» PER IL CICLISTA

La condizione del corridore sembra avere poco a che vedere con quella di Jacobs: gli sport di endurance, infatti, richiedono la gestione delle proprie risorse per lunghe ore. Questo significa, forse, che quando la performance si basa sulla resistenza l’effetto del Mental Coaching è secondario? Tutt’altro, e te lo dimostro.

Anzitutto c’è chi anche in bici ricerca la massima esplosività. Pensa per esempio al velocista, che proprio come il centometrista deve arrivare al momento-clou in pieno equilibrio psicofisico. Con una complicazione: la necessità di conservare (magari dopo oltre 200 chilometri intensi e combattuti) tutta la lucidità necessaria ad affrontare le insidie e le complessità tattiche racchiuse in ogni sprint che si rispetti. In quest’ottica, allenarsi a creare uno “spazio” tra sforzo fisico e centratura mentale è determinante. Così come l’impiego dell’“interruttore biochimico” che può essere attivato attraverso la tecnica dell’ancoraggio, azionando il turbo nell’istante esatto in cui è richiesta la massima potenza.  

COME SUPERARE I PROPRI LIMITI

Nella cronometro il dialogo interiore è preponderante e… come ci si parla, ci si sente. Meglio, dunque, una gestione consapevole del cosiddetto self-talk, così da favorire la produzione di neurotrasmettitori ed ormoni potenzianti come le endorfine, l’adrenalina e la dopamina? O preferisci lasciare che il “bartender” presente nel tuo cervello, magari a seguito dei soliti pensieri ansiogeni, ti propini un debilitante cocktail a base di cortisolo, l’ormone dello stress?

Questo aspetto - che molti atleti, semplicemente, ignorano - può veramente fare la differenza. Avviene anche lungo le salite più aspre, dove la fatica arriva a toccare, e spesso superare, la soglia del dolore. Quanto conta in quelle fasi usare con se stessi le parole giuste e le immagini mentali più potenzianti, oltre alla capacità di selezionare le sensazioni fisiche su cui concentrarsi, tralasciando quelle che trasformerebbero la scalata in una via crucis?

Si tratta di competenze che vanno apprese, sperimentate ed allenate. Ed è proprio questa la funzione del Mental Coaching. Anche, e soprattutto, nel ciclismo.

Per saperne di più: https://mentalcoachciclismo.it


 

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